Cambiare passo
Serve una "rinnovata alleanza con la terra, che gridi giustizia, sia capace di mettere l’umanità di fronte alle proprie responsabilità e promuova un autentico sviluppo integrale di ogni uomo". Intervista a don Francesco Soddu, direttore della Caritas Italiana.
Dalla tutela del Creato alla questione migratoria: bisogna “immaginare nuove strade per coinvolgere e responsabilizzare la società intera, ad ogni livello dai soggetti pubblici a quelli privati, dai settori economici a quelli no profit, dai territori alle comunità, per opporre alla società dello ‘scarto’ un nuovo modello economico che non metta da parte gli esclusi”, sottolinea don Francesco Soddu, direttore della Caritas Italiana.
Il crollo del Ponte Morandi a Genova ci ha messo davanti alla realtà di un paese molto fragile che ci fa sentire tutti in una situazione di insicurezza. Nel Messaggio per la Giornata del Creato i vescovi invitano a “ritrovare il legame tra la cura dei territori e quella del popolo, anche per orientare a nuovi stili di vita e di consumo responsabile, così come a scelte lungimiranti da parte delle comunità”…
«L’umanità deve prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo» aveva già affermato con forza papa Francesco nell’enciclica Laudato Si’, sulla “cura della casa comune”. A tre anni da quell’Enciclica sono sempre e drammaticamente attuali tutti i temi trattati ed è più che mai necessario un cambio di passo, anzi una vera e propria rivoluzione, una “rinnovata alleanza con la terra che abitiamo”, che gridi giustizia, sia capace di mettere l’umanità di fronte alle proprie responsabilità e promuova un autentico sviluppo integrale di ogni uomo. La sfida – sottolineano i Vescovi italiani nel Messaggio per la 13ª Giornata Nazionale per la Custodia del Creato – non interessa solo l’economia e la politica. C’è anche una prospettiva pastorale da ritrovare che è proprio il legame tra la cura dei territori e quella del popolo. Solo così le nostre comunità possono diventare ‘ponte’ tra quanto celebrano e ascoltano e quanta carità/amore vivono quotidianamente in un mondo che, forse, sta conoscendo la sua più bassa soglia di solidarietà e la sua più alta soglia di conflittualità e diffidenza, a livello nazionale, europeo, internazionale. È una sfida, si legge ancora nel Messaggio, “che le chiese cristiane stanno imparando ad affrontare assieme, riscoprendo in orizzonte ecumenico l’impegno comune per la cura della creazione di Dio,…perché possiamo tornare ad abitare la terra nel segno dell’arcobaleno, illuminati dal «Vangelo della creazione”.
La disgrazia del Parco del Pollino ci ha fatto vedere anche la scarsa attenzione che abbiamo verso le bellezze del nostro territorio, che chiedono maggiore cura per goderne in modo equilibrato e sicuro. C’è un problema di formazione?
“Sempre più spesso – evidenziano i vescovi nel loro Messaggio – la nostra terra – città, paesi, campagne – è devastata da cambiamenti climatici e inquinamento diffuso… e le prime vittime sono spesso i poveri e le persone più fragili”. L’invito dunque è a non cedere alla rassegnazione e a promuovere scelte e impegni per il bene comune, risposte collettive che superino ogni interesse particolare, anche per le generazioni future e tutte le creature. Certamente la formazione e la consapevolezza hanno un ruolo decisivo. Quello che definiamo come cambiamento climatico e di cui tutti cominciamo a conoscere dinamiche e conseguenze è solo un aspetto della pressione antropica sulle risorse naturali. Ve ne sono molti altri: l’inquinamento dei suoli di tutte le attività legate alla presenza umana, i fertilizzanti utilizzati in agricoltura, le acque sporche non correttamente trattate, gli scarti industriali che finiscono nei nostri fiumi e nei nostri mari. Urgono inoltre politiche adeguate, dall’assetto idrogeologico alla prevenzione degli incendi, all’adeguamento antisismico e alla manutenzione di strutture pubbliche e private, alla gestione dei territori a rischio.
Ma questa è stata anche l’estate delle polemiche sui porti chiusi ai migranti, addirittura alla nave militare italiana Diciotti. La Chiesa cosa deve fare per evitare il degenerarsi di questa situazione?
Già oltre 26.000 migranti sono accolti dalle strutture ecclesiali e anche in quest’occasione la Chiesa italiana ha confermato la disponibilità – annunciata direttamente da Papa Francesco – ad accoglierne circa 100 tra quelli sbarcati dalla nave Diciotti per inserirli in percorsi e progetti di integrazione in varie Diocesi. Un’accoglienza concreta, fattiva ed immediata che resta però una risposta di supplenza legata all’emergenza. La questione centrale è che c’è una cultura da cambiare e lo deve fare la Chiesa perché è guidata dal Vangelo, ma deve farlo anche chi fa politica, tenendo conto del bene comune e coniugando responsabilità e accoglienza. Guardando la realtà, ragionando con calma, senza trincerarsi dietro la paura. Certo è che accoglienza e condivisione non sono valori che si possono imporre. Per contrastare il rischio di nuove barbarie, nelle relazioni fra i popoli, nei rapporti fra fedi diverse, nel venir meno di un’idea comune sulla dignità umana anche all’interno delle nostre città, possiamo dunque e dobbiamo riaffermare il primato della persona e dello sviluppo integrale dell’uomo, di ogni uomo, cercando, con caparbietà e nonostante tutto, spazi per costruire pace, agire e credere in un mondo riconciliato, dove le differenze siano linfa nuova e non occasioni di sospetto e di conflitto. L’impegno dei cristiani deve perciò tradursi in una sempre maggiore capacità di analisi delle situazioni, di proposta per la giustizia, di promozione del sostegno ai più deboli, di controllo sulle procedure in rapporto ai fini da conseguire. Da una parte, dunque, occorre svegliare l’attenzione delle amministrazioni pubbliche e, dall’altra, bisogna far sì che le presenze che già ci sono non si sentano abbandonate a se stesse, ma che invece siano rafforzate con supporti e reti.
Il Messaggio per la Giornata del Creato chiama i cattolici a un maggiore impegno “per vivere in forma comunitaria la conversione ecologica”. In che modo la Caritas si inserisce in questa dimensione?
Va sottolineata l’urgenza di immaginare nuove strade per coinvolgere e responsabilizzare la società intera, ad ogni livello dai soggetti pubblici a quelli privati, dai settori economici a quelli no profit, dai territori alle comunità, per opporre alla società dello “scarto” un nuovo modello economico che non metta da parte gli esclusi; per costruire un ecosistema favorevole all’uomo, verso quella “ecologia integrale” indicata da Papa Francesco nella Laudato Si’, in cui il valore della solidarietà unito a quello dell’assunzione di responsabilità (personale e collettiva) possono produrre risultati concreti. Se i modelli di sviluppo sono ancora dominati dal mito della crescita indefinita e persiste una cultura individualistica “dell’ognuno per sé” che crea ingiustizia e lascia morire e se gli uomini di governo e di potere non sono in grado di sottrarsi a questo mito e a questa cultura, le comunità cristiane e in esse le Caritas, in virtù della loro prevalente funzione pedagogica, non possono non sentirsi interpellate da questi fatti. Dobbiamo imparare a “leggere i territori” in termini di relazioni, contatti, progetti. Un impegno che deve portare a rispondere – come sempre – ai bisogni che ci vengono segnalati, ma anche ad anticipare i fenomeni prima ancora che si acutizzino. Un servizio dal punto di vista sociologico, ma anche uno stimolo pastorale. A servizio di una pastorale non astratta, che si confronta quotidianamente con le persone, con i problemi, con lo sviluppo di un territorio.
Prosegue la Campagna “Liberi di partire, liberi di restare”. Quale coinvolgimento constata dalle diocesi italiane?
Le comunità locali, grazie anche alle iniziative progettuali della Campagna, stanno ulteriormente valorizzando la dimensione “educante”, con un rinnovato investimento nella formazione. Un secondo aspetto molto positivo è l’attivazione o l’incremento di alleanze sul territorio grazie alle quali, oltre che a dare risposte concrete e sempre più qualificate, concorrono alla realizzazione di quelle azioni corali, che in ambito ecclesiale compattano ulteriormente la comunione. Oggi le comunità in cui viviamo sono realtà fragili, che sempre più si sfaldano e si spopolano, che cambiano, si arricchiscono di nuove persone, spesso giovani, migrate da altri Paesi, e quindi i semi gettati con questa Campagna possono favorirne la ricomposizione e la riaggregazione, se ci lasciamo guidare da alcune parole trasversali: coesione, riconciliazione, inclusione.