Chiamati a lenire anche le sofferenze psichiche

Le nostre comunitĂ  sono chiamate ad essere luoghi di accoglienza e di accompagnamento di tutte le persone affette da malattia mentale.

«Cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse. E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati» (Mc 6,55-56)

GesĂą medico e Servo sofferente

Nel suo ministero pubblico Gesù non ha mai schivato il dolore, ha mostrato invece una particolare vicinanza ai malati conferendo loro dignità, diseppellendo con i suoi occhi attenti la bellezza della loro umanità, luogo dell’immagine e della somiglianza con Dio. Egli non solo li ha guariti, ma li ha ascoltati e presi sul serio, fissando su di essi uno sguardo d’amore, dedicando loro tempo e attenzione, riconciliando il loro cuore con Dio. Ha provocato la loro fede invitandoli ad entrare in sinergia con la potenza di Dio per collaborare attivamente con la sua azione salvifica. Uno dei suoi ritornelli preferiti, infatti, è stato: «Va’ la tua fede ti ha salvato/a» (Mt 9,22; Mc 5,34; 10,52; Lc 7,50; 8,48; 17,19; 18,42).
Di fronte ad ogni uomo e ad ogni donna incrociati sul suo cammino, il Cristo ha dato sempre vita a incontri densi di pathos, caratterizzati da delicatezza e da una grande capacità di immedesimazione, incontri incisivi che hanno permesso ai malati di cogliere l’identità del loro Medico e di inaugurare un tempo nuovo della loro esistenza attraverso la sequela di Cristo e l’annuncio delle sue opere di salvezza. La credibilità del medico-Gesù è legata al fatto che egli si è davvero caricato le sofferenze e le infermità umane (cf. Mt 8,16-17). Lo spiega bene l’autore della Lettera agli Ebrei quando scrive che il Cristo

doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova (Eb 2,17-18).

Cristo ha sofferto personalmente perché ogni sofferenza venisse attraversata dalla sua potenza salvifica e dal suo amore che rende fecondo tutto ciò che tocca. In tal senso ci ha permesso di sperimentare, come si legge nel quarto canto del Servo, che per le sue trafitture noi tutti siamo stati guariti (cf. Is 53,3; 1Pt 2,24). Egli non ha sofferto per il gusto di soffrire ma perché, essendosi reso fratello di ogni uomo e di ogni donna della storia, ha assunto la loro sofferenza perché ciò fosse a vantaggio di tutti:

Tuttavia quel Gesù, che fu fatto di poco inferiore agli angeli, lo vediamo coronato di gloria e di onore a causa della morte che ha sofferto, perché per la grazia di Dio egli provasse la morte a vantaggio di tutti. Conveniva infatti che Dio – per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, lui che conduce molti figli alla gloria – rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza. Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli (Eb 2,9-11).

La compassione del Medico divino

La compassione di Gesù si è estesa ad ogni creatura incontrata sul suo cammino. L’evangelista Matteo rivela, infatti, che la vera spinta della missione di Gesù non è il desiderio di fare neofiti, ma di generare figli di Dio sperimentando il fremito delle sue viscere nei confronti di una folla trascurata, di un popolo allo sbaraglio, privo di una leadership responsabile e deputata alla sua promozione e al suo sviluppo integrale. In Mt 9,35-38 si può leggere:

Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità. Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».

Gesù s’intenerisce dinanzi alle folle. Non vede innanzi a sé una massa di volti indistinti, ma persone, nomi precisi, storie uniche, destinate dal Padre alla loro piena fioritura, eppure rassegnate a implodere a causa della negligenza e della superficialità umane, a causa di una leadership irresponsabile che le ha appiattite, affamate, disprezzate. La trascuratezza dei capi civili e religiosi d’Israele si muta in Gesù in un sentimento di delicata tenerezza che gli permette di sperimentare il loro stesso sentire segnato da sfinimento e smarrimento.

Due accuse rivolte a Gesù: essere fuori di sé ed essere indemoniato

Tra i malati che vengono condotti a Gesù vi sono persone affette da disturbi mentali. Gesù stesso sarà accusato dai suoi familiari di essere uscito di senno, di essere «fuori di sé» a motivo dello stile di vita che conduce (cf. Mc 3,21). Al tempo di Gesù per designare uomini e donne affetti da malattie psichiche o da mali che compromettevano l’equilibrio dei rapporti si era soliti definirli come persone indemoniate o possedute da spiriti impuri o immondi. Quindi anche malattie come la schizofrenia o l’epilessia venivano attribuite all’opera di satana e alla presenza di spiriti maligni. Pur non potendo far coincidere una psicopatologia con la possessione diabolica o ridurre le narrazioni evangeliche che parlano di indemoniati a descrizioni di malattie psichiche, va detto comunque che la possessione determina problemi di natura mentale, dal momento che il maligno sfigura le virtù psico-dinamiche.
Chi sperimenta disturbi a livello mentale è molto disturbato nelle sue relazioni con gli altri. Si sente spesso incompreso, non valorizzato, trascurato e vive nel totale isolamento, reciso dalla fitta trama di relazioni che caratterizza la vita di ogni essere umano, in una condizione di disistima di sé che rasenta spesso l’autolesionismo. Di Gesù stesso gli scribi diranno che è indemoniato poiché posseduto da Beelzebùl o da uno spirito impuro (Mc 3,22.30).

A Gerasa l’incontro con un uomo fuori di sé

In Mc 5,1-20 appare un uomo qualificato come «indemoniato» che è fuori di sé e sembra davvero non ragionare più. Egli si sente subito attirato dalla presenza del Maestro: esce dai sepolcri, corre, si getta ai suoi piedi e urla. Marco tratteggia dettagliatamente la sua difficile condizione:

  • quest’uomo vive fra le tombe (luogo della morte per eccellenza);
  • nessuno riesce a tenerlo buono e fermo perchĂ© piĂą volte era stato legato con ceppi e catene, ma era sempre riuscito a spezzarli (piĂą volte hanno tentato di limitare la sua libertĂ );
  • nessuno riesce a tenergli testa;
  • compie gesti ripetitivi in luoghi isolati, come tombe e monti;
  • compie gesti autolesionisti come il percuotersi con le pietre, come se sperimentasse un profondo disinteresse e disamore verso la sua persona e la sua vita.

La liberazione dall’oppressione e il prezzo sociale del riscatto

Il passaggio provvidenziale di Gesù nella regione dei Geraseni è come se spezzasse l’incantesimo di una vita monotona, ripetitiva, sepolcrale. La corsa verso il Maestro è accompagnata da un grido che è al tempo stesso una richiesta di aiuto e un urlo di difesa, quasi a riflettere una tensione, una lotta che si consuma nella sua stessa persona: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!» (Mc 5,7). Gesù non resta passivo, ma con la sua parola autorevole, assai difforme da quella dei farisei, intima allo spirito impuro di lasciare in pace quell’uomo e di uscire (Mc 5,8). La violenza con cui l’uomo si fa del male viene spiegata dalla presenza in lui di più spiriti che lo tormentano (Mc 5,9). L’uomo non è più padrone di sé. Vorrebbe sentirsi a casa, ma la sua condizione lo rende sempre un estraneo.
Marco racconta che gli spiriti impuri, dopo essere stati mandati via dall’uomo, chiedono a Gesù di potersi impossessare di una mandria di circa duemila porci. Egli lo concede e i porci “posseduti” si lanciano dalla rupe nel mare e affogano, destando paura presso i mandriani che, accorsi da Gesù, sono testimoni del prodigio: grazie all’intervento del Maestro l’uomo dalla vita sepolcrale è finalmente «seduto, vestito e sano di mente» (Mc 5,15).
La guarigione di quell’uomo ha un prezzo: i duemila porci in cui entrano gli spiriti impuri e che affogano nel mare. Si tratta del prezzo sociale del riscatto di un uomo. Il benessere di una persona riguarda tutti e richiede un investimento importante perché si attui un serio ed efficace reinserimento sociale della persona. La vita umana non ha prezzo ed è pertanto proficua la perdita di ogni possesso se ciò vale a riguadagnare un uomo alla convivenza sociale.

Il reinserimento sociale del malato

L’uomo liberato dall’oppressione diabolica riconosce il dono e desidera rimanere vicino al suo benefattore, Gesù però gli dice: «Va’ nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te» (Mc 5,19). L’uomo non si sente respinto, anzi opta per un’altra azione: suscitando una grande meraviglia in coloro che hanno assistito alla sua liberazione/guarigione, egli decide di «proclamare per la Decapoli quello che Gesù aveva fatto per lui» (Mc 5,20). La gratitudine per la salute restituita è tale da spingere l’uomo a ritrovare il suo posto all’interno della società, imparando a sostenere nuovamente il volto degli altri: dal vivere nelle tombe, lontano da tutto e da tutti, ora va incontro agli altri in un territorio più ampio della sua stessa città. L’uomo smette così di disprezzare la vita o di vivere per se stesso e torna ad essere un io-in-relazione, un essere per l’altro. La cura che Gesù ha avuto di lui lo ha reso capace di accogliere il dono e di farsi dono.
Sono molte oggi le persone affette da disagi psichici sia nel nostro Paese sia tra i fratelli e le sorelle migranti che approdano sulle nostre coste. Questi spesso si ammalano proprio durante la traversata, soggetti come sono a pressioni, sfruttamenti e violenze. Le nostre comunità sono chiamate ad essere luoghi di accoglienza e di accompagnamento di tutte le persone affette da malattia mentale, promuovendo politiche della salute attente a loro e imparando ad accompagnarle nel percorso di rilettura della loro vita alla luce della Pasqua di Cristo che può ri-significare anche le esperienze più dolorose. Apprenderemo quest’arte divino-umana del prenderci cura, imparando a diseppellire la bellezza dell’essere umano oltre le distorsioni che il disagio psichico comporta?