Liberi ‘da’, liberi ‘per’
"C’è bisogno di digiunare dalle cose non essenziali che ci distolgono dai doveri verso noi stessi e verso la nostra felicità, ma anche verso la società e l’umanità", sottolinea don Giuseppe Pizzoli, direttore della Fondazione Missio.
La Quaresima è un tempo favorevole per “liberarci da tutto ciò che ci chiude all’apertura all’amore, perché solo l’amore dà la felicità”. Lo sottolinea don Giuseppe Pizzoli, direttore della Fondazione Misso, per il quale in una cultura come la nostra, caratterizzata da “una mentalità capitalista che ci condiziona nell’accumulare tanto per noi, impoverendo il resto del mondo”, diventa fondamentale “digiunare dalle cose non essenziali che ci distolgono dai doveri verso noi stessi e verso la nostra felicità, ma anche verso la società e l’umanità”.
Ha senso oggi parlare di digiuno? E di cosa ci si dovrebbe privare?
Direi che oggi ha ancora più senso parlare di digiuno, soprattutto nella cultura in cui viviamo, caratterizzata da una mentalità capitalista che ci condiziona nell’accumulare tanto per noi, impoverendo il resto del mondo. C’è bisogno di digiunare dalle cose non essenziali che ci distolgono dai doveri verso noi stessi e verso la nostra felicità, ma anche verso la società e l’umanità. Non è allora fuori luogo pensare al digiuno dai mezzi di comunicazione e dai social che ci assorbono per la curiosità e la morbosità e ci impediscono di incontrare realmente le persone e di ascoltarle.
Un altro modo poi per imparare a rinunciare a sé stessi per donarsi agli altri è vivere la Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, in programma il prossimo 24 marzo, che quest’anno ha per tema “Per amore del mio popolo non tacerò”. La Giornata sarà celebrata in tutte le diocesi con iniziative, veglie e incontri per la cui animazione sono stati già diffusi i materiali.
Il Papa chiede di essere prossimi ai fratelli in difficoltà. Come dovrebbe declinarsi questo invito nella quotidianità dei cristiani?
Francesco ci chiede di rivedere le nostre relazioni quotidiane, ormai ridotte in termini di funzionalità: ci rapportiamo agli altri perché abbiamo bisogno di qualcosa, abbiamo un obiettivo da raggiungere, abbiamo un compito da svolgere, mentre invece siamo chiamati a riscoprire la capacità e la bellezza dell’incontro in gratuità. Dobbiamo cioè creare relazioni positive e autentiche che non siano solo incentrate su noi stessi, ma che permettano il confronto e l’arricchimento, attraverso l’esperienza degli altri.
Cosa significa convertirsi per i credenti di oggi?
Il termine conversione rimanda ad un cambiamento di mentalità. A me fa venire in mente una Quaresima vissuta anni fa, quando per la prima volta mi è stato chiesto di partire per la missione. io la missione l’avevo sempre sognata, ma mai pensata. Avevo tanto entusiasmo, eppure, quel giorno, tornando a casa guardai la libreria con tutti quei volumi che davano sicurezza alla mia azione pastorale e mi senti quasi nudo all’idea di dover partire senza poterli portare con me. Guardai allora fuori dalla finestra e vidi la macchina nuova e pensai che avrei dovuto lasciare anche quella. Ecco, in quel momento mi resi conto che avevo un attaccamento alle cose mai percepita, che la mia vita, in qualche modo, dipendeva da questi oggetti di cui invece dovevo spogliarmi per partire in missione.
Convertirsi significa vivere sganciati dalle cose per vivere per quello che siamo e non per quello che abbiamo.
Il Messaggio di papa Francesco per la Quaresima parla di redenzione e di liberazione dal peccato. Il concetto di libertà’ è alla base della Campagna Cei “Liberi di partire, liberi di restare”. Cosa vuol dire essere liberi?
Essere liberi ‘da’ e liberi ‘per’. Liberi cioè dal ripiegamento su noi stessi, sui nostri bisogni, sulle nostre aspirazioni, sulla nostra felicità per essere capaci di vivere la libertà che è fondata sulla condivisione. Il ripiegamento su noi stessi infatti ci impedisce di farci incontrare, di vivere il rapporto di fraternità con la natura e con le persone che ci circondano. Dobbiamo insomma liberarci da tutto ciò che ci chiude all’apertura all’amore, perché solo l’amore dà la felicità.
Sempre nel Messaggio per la Quaresima c’è un riferimento esplicito al Creato. Cosa dobbiamo fare per custodire questa Casa comune?
Su questo tema dovremmo imparare a recuperare quello che le culture indigene dell’Amazzonia o dell’Africa ci insegnano. Esse ci dicono che quando una persona ha una sofferenza, questa non è solo causata da qualcosa che non funziona come dovrebbe, ma perché si è rotta l’armonia con l’ambiente, con la famiglia e con la società. Queste culture infatti legano il benessere personale all’armonia con gli altri e con l’umanità (non solo con i vicini) e con la natura. Così, quando c’è una sofferenza, si va in cerca della radice spirituale e non solo fisica di quel male. La mia disarmonia, infatti, ha un riflesso anche sul Creato: questo è un messaggio importantissimo anche per la nostra cultura, per noi che consideriamo il Creato solo in termini di sfruttamento. Dobbiamo ricordare invece che se soffre il Creato soffriamo anche noi.