Per un’ecologia integrale
C’è un filo rosso che lega la missione alla cura del Creato. Lo ricorda la biblista Maria Soave Buscemi, missionaria laica 'fidei donum', in Brasile da 32 anni.
C’è un filo rosso che lega la missione alla cura del Creato. “L’essere cristiani, la sequela di Gesù, la presenza del Padre ci rendono persone battezzate e inviate per la Buona Notizia che deve essere buona realtà, altrimenti diventa ideologia”, ricorda la biblista Maria Soave Buscemi, missionaria laica fidei donum, in Brasile da 32 anni.
Cosa rappresenta il Sinodo per l’Amazzonia per la Chiesa e per la società?
L’importanza sta nel fatto che questo Sinodo in realtà si è già aperto un anno e mezzo fa, a Puerto Maldonado, in Perù. Il processo è fondamentale: sono arrivate 87mila risposte al documento preparatorio e nel tempo si sono svolte 250 assemblee diocesane, vicariali, di pastorali nazionali e di popoli indigeni. Il Sinodo che si tiene in Vaticano è dunque la continuazione di tale processo. Le attese sono molte, ma il dato forte è che ci si è messi in ascolto della comunità per discernere a partire dalla realtà.
Come si intrecciano missione e cura del Creato?
Non è una coincidenza che ottobre sia il mese missionario e che in questo tempo di svolga il Sinodo per l’Amazzonia. Lo Spirito soffia nella storia, in modo inaspettato e sorprendente. La Chiesa, specialmente quella latinoamericana, cammina come popolo di Dio e queste sono tappe di grazia, di costruzione e impegno. Nella Laudato Si’, papa Francesco indica un aggettivo rispetto al termine ecologia, cioè integrale. C’è infatti uno stesso respiro tra l’impegno, la responsabilità verso la madre Terra, e il nostro essere battezzati ed inviati. Se siamo battezzati in Cristo, allo stesso modo siamo inviati e chiamati a prenderci cura della vita, e quindi anche dell’acqua, dell’aria e della terra. Questa è ecologia: senza impegno, essa si riduce a giardinaggio. L’essere cristiani, la sequela di Gesù, la presenza del Padre ci rendono persone battezzate e inviate per la Buona Notizia che deve essere buona realtà, altrimenti diventa ideologia.
Il 16 e il 17 ottobre l’Onu celebra le Giornate per l’alimentazione e per la lotta alla povertà. C’è ancora molto da fare su questi fronti…
Bisogna dire un ‘no’ pratico e concreto a questa forma esacerbata dell’unico ordine economico finanziario che è il capitalismo. Esso porta all’estrattivismo, una forma neocoloniale diffusa che porta pochissimi ricchi ad estrarre dalla Terra e dalle relazioni tutto l’immaginabile. Così i poveri si trovano a produrre beni di cui non hanno beneficio (se non la morte della terra) e sono spinti a desiderare beni che non producono e non potranno mai avere.
Il consumismo, ad esempio, fa in modo che il mondo usi i biocombustibili che sono solo necrocombustibili, in quanto provocano la morte della vegetazione, degli animali e dei figli della Terra. Si tratta di un circuito demoniaco di morte che va fermato ritornando a vivere dell’essenziale, a vivere del Vangelo anziché di tutti quegli orpelli di cui ci siamo riempiti.
Cosa bisogna fare per invertire la rotta e restituire giustizia e dignità?
Abbiamo due orecchie e una bocca. Occorre innanzitutto ascoltare in modo attivo, visitare l’altro e il suo grido, conoscerlo e ritornare all’essenzialità. E poi bisogna ridurre perché dobbiamo pensare che noi non diamo la Terra in eredità ai nostri figli, ma la prendiamo in prestito dalla future generazioni. Abbiamo già superato il punto di non ritorno: ora occorre uscire dal monopolio estrattivista, perché non ci sono altri pianeti.
Come vede le manifestazioni dei giovani che scendono in piazza per chiedere impegni concreti contro i cambiamenti climatici?
Queste manifestazioni dei giovani sono segni profetici: si avverte un respiro buono, sono giovani, spesso fragili, moltissime ragazze che, in modo trasversale a tutti i Continenti, scendono in piazza per dire il loro respiro di futuro. E il respiro di futuro è respiro di Dio. Questa gioventù ci dice la fede – non la religione o una dottrina – nella semplicità, nel saper curvarsi sull’altro. Insegnano molto, soprattutto a noi occidentali.