Rut, donna rifugiata sotto le ali del Dio d’Israele
Una storia antica, ma attualissima che insegna l’arte della custodia delle persone che ci sono accanto.
«Booz rispose a Rut: “Mi è stato riferito quanto hai fatto per tua suocera dopo la morte di tuo marito, e come hai abbandonato tuo padre, tua madre e la tua patria per venire presso gente che prima non conoscevi. Il Signore ti ripaghi questa tua buona azione e sia davvero piena per te la ricompensa da parte del Signore, Dio d’Israele, sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti”» (Rt 2,11-12).
Migranti in cerca di un futuro migliore
Nel libro di Rut sono narrate le vicende di una straniera, Rut, che diventa figlia d’Israele e prende posto nella genealogia del re Davide, canonizzata tra le madri del Messia (cf. Mt 1,5). Sebbene il libro prenda il nome da Rut, a livello narrativo però l’azione è portata avanti da Noemi, la suocera di Rut. Costretta insieme al marito, Elimelec («il mio Dio è re»), e ai due figli, Maclon («debole») e Chilion («esausto»), ad abbandonare la sua terra, cioè Betlemme («casa del pane»), in Giuda, a causa di una carestia, Noemi («mia delizia») si sposta oltre il Giordano, nella terra di Moab, terra straniera e ritenuta ostile (cf. Dt 23,4-7). È la povertà che genera la necessità di emigrare, insieme alla mancanza di solidarietà da parte di chi fatica a sostenere i poveri per il timore di danneggiare la propria eredità, come si vedrà alla fine del racconto (cf. Rt 4,6).
Il libro di Rut viene scritto in un’epoca tardiva, nel postesilio, al tempo di Esdra e Neemia, quando si tende ad ostacolare i matrimoni con donne straniere, a respingere le donne straniere insieme ai figli nati da unioni miste (cf. Esd 10,3.11) e a ricomporre l’unità attorno all’osservanza della Legge (cf. Ne 8,13) e alla purezza della razza (cf. Esd 9,2). Si tratta di un periodo in cui si tende a promuovere la chiusura verso gli stranieri attraverso un certo integrismo, tendenza con la quale si pone in netta contrapposizione il libro di Rut che accoglie nella sua trama un respiro decisamente universalista.
Mentre per Noemi la terra di Moab è il luogo della morte del marito, per i suoi figli è il luogo delle nozze con due donne del luogo, Rut («amica» o «sollievo») e Orpa («colei che dà le spalle»). Il soggiorno a Moab come gherim («immigrati») però dura dieci anni perché il lutto torna ancora a far visita a questa famiglia con la morte dei figli di Noemi. A Moab, che doveva essere terra di salvezza, si verifica dunque un accumulo di lutto e di dolore. Noemi si ritrova nella condizione di essere una donna sola, in terra straniera, con due nuore straniere che non hanno la possibilità di risposarsi con eventuali altri suoi figli: siamo dinanzi a tre donne povere e senza alcun bene. A Noemi non resta che rifare i bagagli e tentare di rientrare a Betlemme, confidando in una sorte migliore.
La sfida di integrarsi in un altro popolo
La migrazione continua: mentre per Noemi si tratta di tornare nella sua patria, per le sue nuore invece di recarsi in una terra straniera, dove di certo non saranno ben viste. Malgrado questo, entrambe vogliono partire con la suocera che, contraria a questo progetto, suggerisce loro di tornare nelle loro famiglie di origine, sperando nella grazia di nuove nozze più fortunate. Una sola di loro viene dissuasa, Orpa; Rut invece decide di non abbandonare sua suocera e di avventurarsi, senza certezza alcuna, in un paese che non conosce e dove regna un altro Dio che è disposta non solo a conoscere ma anche a riconoscere come suo Dio: «Non insistere con me che ti abbandoni e torni indietro senza di te, perché dove andrai tu, andrò anch’io, e dove ti fermerai, mi fermerò; il tuo popolo sarà il mio popolo e il tuo Dio sarà il mio Dio» (Rt 1,16).
Le parole di Rut a sua suocera contengono una formula che rimanda all’alleanza tra Dio e Israele, come anche all’alleanza tra l’uomo e la donna. Rut promette a sua suocera di essere al suo fianco fino alla morte, anzi persino fino alla sepoltura (Rut 1,17). È la ferma intenzione di tagliare ogni legame con il passato per legarsi indissolubilmente a Noemi. Rut decide di integrarsi in un altro popolo, sceglie di essere una straniera residente, una decisione in netta controtendenza, perché nessuno emigrava dalla sua patria se non costretto da carestie o da guerre. Rut si volge al Dio d’Israele non per osservare la Legge ma per custodire un membro del suo popolo. È accompagnando Noemi con grande affetto e benevolenza che Rut incontra il Dio d’Israele e il Dio d’Israele si fa presente attraverso di lei.
Il campo della provvidenza
Come straniera residente, Rut è soggetto di alcuni diritti fondamentali come quello di spigolare, di raccogliere ciò che i proprietari hanno lasciato del raccolto (cf. Dt 24,19-22), un diritto che nasce dalla memoria della liberazione dall’Egitto ottenuta per grazia: ciò che resta nel campo «sarà per il forestiero, per l’orfano e per la vedova. Ricordati che sei stato schiavo nella terra d’Egitto…» (Dt 24,21-22). La memoria dell’esodo dunque dà forma in Israele ad alcune dinamiche di accoglienza e ospitalità.
L’arrivo a Betlemme è segnato dal lamento di Noemi che è amareggiata perché sente di esser partita piena e di essere tornata vuota e dall’intraprendenza di Rut che arriva vuota e vuole essere riempita e perciò si fa portatrice del diritto dei poveri, iniziando subito a spigolare. Casualmente, la donna approda nel campo della provvidenza: come se fosse dotata di un fiuto speciale, si trova a spigolare nel campo che è di proprietà di un uomo, Booz, della famiglia di Elimelec suo suocero.
Dopo aver scoperto l’identità della donna, Booz, anziché diffidare della donna che è straniera e per di più moabita, mostra tanta benevolenza nei suoi confronti e una speciale ammirazione per il suo coraggio. Egli è affascinato dalla bellezza interiore di Rut, dal fatto che malgrado Noemi non avesse più nulla da darle (né un altro marito, né altre possibilità) essa abbia scelto di non abbandonarla, allontanandosi dalla sua famiglia d’origine e dalla sua patria per unire la sua vita a quella di sua suocera.
Questa bellezza di Rut spinge Booz a farsene custode, per proteggerla da eventuali abusi che colpivano soprattutto le vedove e le straniere e garantire il necessario per il sostentamento suo e di sua suocera, permettendole di raccogliere un’efa di orzo, quantità che sorprende Noemi. Lo stupore cresce quando l’anziana donna scopre che il proprietario del campo dove Rut ha spigolato è un «parente stretto» di suo marito, uno di quelli che hanno il «diritto di riscatto» su di loro (Rt 2,20). Se Noemi pensa al riscatto è perché ormai considera Rut una figlia d’Israele a tutti gli effetti che può essere beneficiaria, a pieno titolo, della legge del levirato, legge che si prefiggeva di proteggere dall’estinzione o dalla dispersione le famiglie israelite (cf. Dt 25,5-6).
Da vedova a sposa e madre
Se Booz è un potenziale riscattatore è possibile allora per Rut pensare a una nuova sistemazione per uscire dalla condizione di vedovanza e inaugurare una fase nuova della vita. Il periodo della mietitura, tempo in cui le due vedove giungono a Betlemme, si connota per la nota caratteristica della gioia del raccolto, che richiama anche la gioia nuziale. Questo tempo vede la benevolenza, la cura e la premura di Booz verso Rut. Ora tocca a lei fare evolvere il loro rapporto spingendolo più in là…
Dietro suggerimento di Noemi, Rut mette in atto una strategia notturna per spronare Booz a esercitare il diritto di riscatto. Dopo essersi rifugiata sotto le ali del Dio d’Israele, Rut si rifugia sotto il mantello di Booz. Non ci sono parole, né azioni invadenti, ma solo il gesto di chi umilmente si mette ai piedi dell’altro per chiedere protezione e custodia, non per un momento puntuale ma per sempre. Quando Booz scopre la presenza di Rut nel suo giaciglio resta nuovamente colpito dall’agire della donna e subito s’impegna in vista del riscatto, sapendo che dovrà prima verificare le intenzioni del parente più vicino. Di questo parente anonimo si capisce la disponibilità nel riscattare la proprietà di Elimelec ma non Rut, come se in lui albergasse un sentimento di rifiuto nei confronti della donna perché straniera. Il suo rifiuto, che avviene mediante la consegna del suo sandalo a Booz, diventa provvidenziale perché la richiesta di Rut si compie e Booz può davvero assumere la sua vita per proteggerla.
Le nozze tra Rut e Booz segnano il superamento di una barriera: la moabita non solo è una donna che risiede in Israele, che ha il diritto di spigolare, ma anche degna di vivere una maternità che la fa entrare a pieno titolo nella storia del popolo ebraico. Le nozze sono accompagnate da molteplici auguri di fecondità e sono seguite dalla nascita di un maschietto, Obed, che sarà il padre di Iesse e il nonno di Davide. Questo bambino non è solo il frutto di un’unione che restituisce dignità a una donna, Rut, così provata dal lutto, dalla vedovanza e dall’itineranza, ma rappresenta anche la fonte della guarigione di Noemi dalla sua amarezza perché, come dicono le donne, il bambino appare come «consolatore e sostegno della sua vecchiaia» (Rt 4,15). Questo evento che per Noemi rimette in circolo la vita è frutto della misericordia di sua nuora che viene descritta dalle altre donne come colei che ama sua suocera e che vale per lei «più di sette figli» (Rt 4,15).
Una delle madri del Messia
La grandezza di Rut non sta nelle armi della seduzione, ma nella potenza dei suoi atti di ḥesed (amore fedele), atti che contengono un elemento di grazia o generosità oltre il dovere morale, legale o familiare. Questa grandezza le permette di entrare a pieno titolo tra le madri del Messia (cf. Mt 1,5). In uno spazio dedicato agli uomini, come la genealogia, Matteo dà accesso alle donne e, oltre a Maria la madre di Gesù, menziona altre quattro donne: Tamar, che in modo poco ortodosso cerca di avere un figlio per far rispettare la legge del levirato; Racab, la prostituta di Gerico che dà asilo agli esploratori di Israele; Betsabea, moglie prima di Uria l’Hittita e poi di Davide che lo uccide per sposarla, e dalla quale nascerà Salomone; e Rut che, con totale dedizione e in spirito di grande solidarietà, mostra che il cuore della Legge è la prossimità. Maestra in umanità, questa straniera contribuisce all’edificazione del popolo d’Israele (come gli anziani avevano augurato a Booz, cf. Rt 4,11), ma anche del popolo della nuova alleanza. Suo figlio Obed sarà il nonno di Davide, re dalla cui discendenza proviene il Messia, che è il «Signore di tutti» (At 10,36)
Rut ci insegna a guardare alla storia con ampiezza e ci insegna l’arte della custodia delle persone che ci sono accanto, andando al di là delle rassegnazione e delle paure con la forza della fedeltà. Sapremo anche noi, nei nostri contesti multietnici, tessere alleanze fedeli perché la trama della storia si rafforzi grazie a un nuovo fermento di solidarietà e prossimità?