Uscire dalla paura
“Servono comunità accoglienti che siano segno e lievito di una società plurale”, scrivono i vescovi che annunciano per il 2019 un Meeting delle realtà che si fanno carico dei migranti.
Occorre “avviare ‘processi educativi’ che vadano al di là dell’emergenza, verso l’edificazione di comunità accoglienti capaci di essere ‘segno’ e ‘lievito’ di una società plurale costruita sulla fraternità e sul rispetto dei diritti inalienabili di ogni persona”. A chiederlo sono i vescovi che nella lettera “Comunità accoglienti, uscire dalla paura” invitano le comunità cristiane a “leggere le migrazioni come ‘segno dei tempi’”. Questo, scrive la Commissione episcopale per le migrazioni della Cei, “richiede innanzitutto uno sguardo profondo, uno sguardo capace di andare oltre letture superficiali o di comodo, uno sguardo che vada ‘più lontano’ e cerchi di individuare il perché del fenomeno”. A partire da “un linguaggio che non giudica e discrimina prima ancora di incontrare”. “Le paure – affermano i vescovi – si possono vincere solo nell’incontro con l’altro e nell’intrecciare una relazione. È un cammino esigente e a volte faticoso a cui le nostre comunità non possono sottrarsi, ne va della nostra testimonianza evangelica”, come “sanno bene quelle comunità e parrocchie che in questi anni hanno deciso in vario modo di accogliere”. Proprio alle “realtà di accoglienza” sarà dedicato un Meeting che si terrà “nei primi mesi del prossimo anno”.
Nel testo, scritto a venticinque anni documento Ero forestiero e mi avete ospitato, i presuli si dicono “consapevoli che il periodo di crisi che sta ancora attraversando il nostro Paese rende più difficile l’accoglienza, perché l’altro è visto come un concorrente e non come un’opportunità per un rinnovamento sociale e spirituale e una risorsa per la stessa crescita del Paese”. “L’immigrazione, con le reazioni di rigetto che talvolta suscita, mette in luce un atteggiamento presente nelle società occidentali e che non le è direttamente connesso: il crescente individualismo, che sempre più spesso si manifesta anche fra connazionali e addirittura all’interno delle famiglie”, denunciano i vescovi ricordando che “l’integrazione è un processo che non assimila, non omologa, ma riconosce e valorizza le differenze; che ha come obiettivo la formazione di società plurali in cui vi è riconoscimento dei diritti, in cui è permessa la partecipazione attiva di tutti alla vita economica, produttiva, sociale, culturale e politica, avviando processi di cittadinanza e non soltanto di mera ospitalità”.