Una questione d’onore

Una questione d’onore

Migrazioni e tratta. Intervista a don Gianni De Robertis, direttore della Fondazione Migrantes.

Restituire dignità agli immigrati, dare loro voce e farli sentire parte integrante delle nostre comunità. Secondo don Gianni De Robertis, direttore della Fondazione Migrantes, serve un cambiamento di mentalità.

Papa Francesco, incontrando il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, è tornato a ribadire la necessità di “uscire da una diffusa retorica” sull’argomento dei migranti e partire dalla considerazione che si tratta innanzitutto di persone. Cosa occorre fare, anche a livello ecclesiale, sul fronte culturale?

Il Papa ci richiama continuamente alla concretezza del Vangelo. Mi viene in mente un brano del “Diario di un curato di campagna” di Bernanos in cui il dottor Delbende, ateo, dialoga con il protagonista, il prete di campagna, rimproverandogli non che ci siano i poveri, ma che essi siano abbandonati e sporchi. Secondo il medico, dopo venti secoli di Cristianesimo non ci si dovrebbe più vergognare di essere poveri. La questione sociale, diceva lui e io aggiungo anche la questione migratoria, è una questione di onore. Dobbiamo restituire dignità di esseri umani, creati ad immagine e somiglianza di Dio, a questi nostri fratelli e fare in modo che nelle nostre parrocchie, nelle nostre comunità, si sentano parte e non oggetto.
Si parla tanto di migranti, ma quasi mai – solo il 3% secondo i dati di una recente indagine – si ascolta la loro voce. Occorre invece ascoltare quello che hanno da dirci, permettere loro di parlare. Se conoscessimo veramente i loro volti sarebbe più difficile accettare che continuino ad annegare al largo delle nostre coste o che siano torturati e stuprati in Paesi poco lontani.

Dopo aver celebrato la Giornata del migrante e del rifugiato, l’8 febbraio si terrà la Giornata di preghiera contro la tratta. Sempre più spesso infatti al fenomeno delle migrazioni è legato il traffico di esseri umani, un dramma di cui non c’è ancora adeguata consapevolezza….

Il Papa ci ricorda che sono i minori e le donne a pagare il prezzo più alto. I 26 corpi senza vita arrivati a Salerno lo scorso novembre non rappresentano un episodio isolato, ma sono il segno di una tragedia che continua a consumarsi. Sono migliaia le ragazze che quotidianamente vengono stuprate: mi colpì, durante un incontro a Lampedusa, la testimonianza di un medico che raccontava di come, prima della partenza, nei campi profughi in Africa vengano fatte alle ragazze siringhe di ormoni per bloccare loro il ciclo ed evitare che rimangano incinte. Questo è intollerabile. Oggi la protezione non è un diritto, ma sembra essere solo il privilegio di alcuni dei nostri. Ci sono ragazze, poco più che bambine, obbligate a stare ai bordi delle strade delle nostre città, molti costretti all’irregolarità per le nostre leggi, persone che lavorano nei campi per pochi euro.
Quando san Paolo si recò a Filippi per evangelizzare, i magistrati lo fecero frustare e lo imprigionarono, ma poi lo liberarono e gli porsero le scuse perché era un cittadino romano. Cito questo episodio perché al giorno d’oggi stiamo tornando indietro: come se avere un giusto processo, essere tutelati nei propri diritti non sia un bene comune, ma qualcosa di esclusivo per chi ha la cittadinanza, per alcuni.

Accogliere, proteggere, promuovere ed integrare sono i quattro verbi indicati da papa Francesco. La Campagna Cei “Liberi di partire liberi di restare” è dunque un’occasione per le comunità cristiane di tradurre le parole in fatti…

Sì, ed anche per allargare gli orizzonti. Papa Francesco ci ricorda che non basta accogliere, ma che c’è un prima e un dopo. Don Tonino Bello parlava del samaritano dell’ora giusta per dire che non è sufficiente raccogliere il ferito picchiato dai briganti, ma anche rendersi conto del perché è successo, di come si può rendere sicura la strada. Bisogna cioè andare alla radici e la Campagna ha proprio questo obiettivo, oltre  a quello di offrire delle prospettive. In Italia spesso accogliere significa parcheggiare in un grande centro dove però non si costruisce futuro né per gli immigrati né per il nostro Paese. Credo che la cattiva accoglienza sia uno dei motivi per cui molti italiani sono ostili.

L’Ufficio per gli interventi caritativi a favore del terzo mondo, la Caritas Italiana, le Fondazioni Migrantes e Missio, l’Apostolato del mare, cioè le realtà coinvolte direttamente nella Campagna Cei, hanno costituito un Tavolo Migrazioni. È il segno concreto dell’importanza di un lavoro sinergico e multidisciplinare?

È l’espressione del fatto che diverse espressioni della Chiesa si muovono come un corpo solo, perché siamo un corpo solo. La radice comune è il gesto di amore di Gesù morto e risorto. Insieme poi è possibile cogliere meglio la realtà dei problemi, affrontarli da vari punti di vista.

Potrebbe essere un modello replicabile a livello locale per promuovere la diffusione della Campagna e la sensibilizzazione sul delicato e complesso tema delle migrazioni?

Certo. In ogni diocesi i vari uffici ecclesiali sono chiamati a lavorare insieme, specialmente nell’ambito dell’accoglienza. La comunione non è solo un fatto strategico, ma rivela l’amore che ci anima. Oltre a garantire maggiore efficacia, è soprattutto un modo di essere, uno stile.