Con carità
La trattativa per la nave “Diciotti”, i profughi, le divisioni nel Paese. L'intervista del presidente della Cei, cardinale Gualtiero Bassetti, ad Avvenire.
di Giacomo Gambassi
Il cellulare del cardinale Gualtiero Bassetti squilla in continuazione da almeno due giorni. Ossia, da quando la Chiesa italiana ha annunciato di accogliere cento dei 177 profughi bloccati nella nave Diciotti ancorata nel porto di Catania. «Mi stanno chiamando molti vescovi della Penisola – racconta il presidente della Cei –. Mi manifestano la loro disponibilità ad aprire le porte delle diocesi a cinque, dieci, venti o trenta migranti della Diciotti. È una mobilitazione che mi commuove. E dimostra l’attenzione non solo dei pastori ma anche di molta nostra gente che frequenta ogni giorno le parrocchie verso gli ultimi, i dimenticati». Bassetti è rientrato ieri mattina da Dublino dove ha partecipato all’Incontro mondiale delle famiglie. E dalla capitale irlandese ha seguito passo dopo passo, via telefonino, la trattativa. Lo ha raccontato anche papa Francesco ai giornalisti sul volo di rientro dall’isola “verde” accennando al contribuito del presidente della Cei e all’impegno sul campo del sottosegretario della Conferenza episcopale italiana, don Ivan Maffeis.
Eminenza, come si è arrivati alla soluzione?
È stata una scelta compiuta di comune accordo. Se è vero, come è vero, che un fiume ha bisogno di due sponde, è accaduto che due volontà si siano incrociate. Era necessario trovare una via d’uscita a una crisi umanitaria che poteva avere conseguenze tragiche. Il ministero dell’Interno ha accettato la nostra proposta. Individuare un modo efficace, intelligente, sensato a questo dramma era essenziale. La vita va salvaguardata e protetta sempre. Da qui è maturata l’intesa. È innegabile che anche il governo si fosse chiuso come in una sorta di vicolo cieco e che aveva la necessità di sbloccare l’impasse. Due esigenze, senza dubbio fondate su basi diverse, si sono incontrate nel nome dell’uomo, in particolare dell’uomo e della donna fragili e indifesi.
Qualcuno sostiene che abbiate dato una mano all’esecutivo.
Non abbiamo agito per fini politici. A spingere ogni nostra decisione è stata la carità evangelica, è stato l’abbraccio di Cristo a ogni povero della storia. Ecco perché mi sento di dire già da adesso che, se si ripresentassero situazioni di urgenza, la Chiesa italiana non esiterebbe a compiere scelte identiche. E la storia delle comunità ecclesiali che sono in Italia dimostra come le diocesi, le parrocchie, l’intero popolo di Dio è in grado di far fronte anche alle difficoltà dello Stato.
Quindi è soddisfatto?
Certo, questa soluzione salva tanti nostri fratelli in cerca di un futuro migliore da un’emergenza che rischiava di mettere in pericolo la loro vita e che al tempo stesso appariva scandalosa. Non potevamo assistere da spettatori a quanto accadeva o limitarci alle parole, agli appelli, ai proclami che lasciano il tempo che trovano.
E il Papa?
Ha seguito la vicenda ed è stato tenuto informato. Gli ho parlato anche a Dublino, seppur in modo rapido. Lo testimoniano le sue parole di vicinanza e di attenzione pronunciate sull’aereo che lo riportava a Roma.
La prima tappa dell’accoglienza “targata” Cei è il centro Auxilium a Rocca di Papa. Poi sarà la volta delle diocesi.
Ci è stata manifestata l’esigenza che i cento migranti siano assistiti inizialmente tutti assieme, anche perché versano in condizioni critiche. C’è bisogno di cure mediche, di aiuto psicologico. Tutto ciò può essere garantito solo ricorrendo a un unico centro. Quindi ci sarà l’affidamento, se così può essere definito, alle Chiese locali attraverso la Caritas nazionale tenendo conto della generosa disponibilità che hanno espresso.
La Cei ha voluto con forza i corridoi umanitari come alternativa ai viaggi della disperazione nel Mediterraneo.
È una risposta fattiva che può fermare le morti sui barconi e la tratta di esseri umani. La scelta di creare ponti aerei sicuri per far approdare nel continente profughi che fuggono dalla guerra, dalla fame, dalla violenza rappresenta un’iniziativa da incoraggiare che è nata con il contributo della Cei in collaborazione con il ministero dell’Interno e la Comunità di Sant’Egidio. Anche io ho accolto a Pratica di Mare il primo gruppo di migranti africani giunti dalla Libia. E attraverso le diocesi è stato garantito a tutti un adeguato processo di integrazione e inclusione nella società.
In Italia il tema immigrazione divide l’opinione pubblica. E il contrasto agli sbarchi fa lievitare i consensi. Anche parte dei cattolici praticanti appoggia questa linea.
La gente ha paura. La crisi economica che ancora morde alimenta il timore di condividere con gli altri quel poco che si ha. Perciò l’altro non è più visto come una risorsa ma come un problema, addirittura un pericolo. Si sta accentuando una strategia di difesa oltranzista. Ma aggiungo che conosco tantissime persone che contribuiscono in maniera encomiabile a sostenere il migrante o la famiglia bisognosa arrivata da oltre confine.
E l’Europa quale ruolo gioca?
L’Europa non può guardare solo a questioni economiche e finanziare o ridurre tutto, anche il dramma dei profughi, a una faccenda di risorse. Deve agire in maniera solidale. Certo, non basta. L’emergenza migratoria va affrontata a livello di Mediterraneo. Occorre unire le sponde del grande mare. Per questo ho proposto in Italia un “Incontro di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo” che sarà nell’autunno 2019, ispirato alle intuizioni del sindaco “santo” di Firenze, Giorgio La Pira, e memori che il nostro Paese, per la sua storia e la sua collocazione geografica in Europa e nel Mediterraneo, ha una particolare vocazione e una sua responsabilità.
Fonte: Avvenire, 28 agosto 2018