Dalla parte giusta
Agata, 27 anni, ha scelto di fare la tutor per i minori stranieri non accompagnati.
di Stefania Careddu
“Non abbiamo colpe se siamo nati dalla parte sbagliata e soprattutto voi non avete alcun merito di essere nati dalla parte giusta”. La risposta di un rifugiato somalo a chi gli chiedeva perché aveva deciso di fuggire è la “molla” che ha spinto Agata Cultraro a diventare una tutor per minori stranieri non accompagnati. Ventisette anni, al termine degli studi in psicologia, con in tasca la significativa esperienza del servizio civile svolto in una struttura di seconda accoglienza, decide di mettere a disposizione tempo, energie, competenze per seguire, a livello giuridico ma anche emotivo e umano, quei ragazzi non ancora maggiorenni che arrivano in Italia da soli e hanno bisogno di qualcuno che li rappresenti legalmente. Frequenta il corso organizzato a Catania dal Centro Mediterraneo Giorgio La Pira in collaborazione con la Fondazione Migrantes e l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione per ottenere “gli strumenti teorici e pratici” e sei mesi fa viene iscritta nell’elenco dei Tutori. “Da quando ho iniziato – racconta Agata – ho avuto la delega di una ventina di minori distribuiti tra la mia città, Scordia, Caltagirone e altri comuni limitrofi della provincia. Il rapporto dovrebbe essere uno ad uno, ma in concreto questo non è possibile perché i tutor sono pochi e i minori molti. Attualmente ne seguo 14, tra cui una ragazza e una neonata, figlia di una minorenne affidata già ad un altro tutor”. Per tutti loro è come una sorella, un’amica. “In realtà, anche un po’ nonna – sorride – dal momento che uno dei primi ragazzi, che ha appena compiuto 18 anni ma che continuo a seguire, è diventato papà”.
“La maggior parte dei minori richiede la protezione internazionale e per poter fare l’audizione davanti alla Commissione il tutore è indispensabile”, spiega Agata sottolineando che “quello è un momento particolarmente delicato perché il ragazzo racconta la sua storia, il perché è scappato e perché non può tornare a casa”. “È qui che spesso vengono fuori elementi mai detti, in cui emerge tutto il vissuto emotivo del ragazzo che si gioca tutte le carte per avere la possibilità di restare in Italia e tu sei lì, spesso a fare da scudo”, confida la giovane tutor evidenziando l’importanza per il minore di avere questa figura di riferimento, sebbene l’iter duri ancora molto. L’abbinamento infatti “viene fatto con tempi lunghi, anche un anno dopo rispetto all’arrivo del ragazzo. Capita che il tutor sia presente dall’inizio del percorso, ma nella stragrande maggioranza delle volte si inserisce in un iter già avviato dalla comunità di accoglienza”. Sia in un caso che nell’altro “ci scambiamo subito i numeri di telefono così possono chiamarmi quando vogliono, se hanno una difficoltà, un problema da risolvere o semplicemente voglia di chiacchierare. Sanno che c’è qualcuno che pensa a loro, che non sono dei numeri e che non sono soli”, sottolinea la giovane di Scordia che si dice “orgogliosa” della scelta fatta. “Non giochiamo ad armi pari: loro lottano per quei bisogni che per noi sono scontati. Stando con questi ragazzi – dice – ti rendi conto della relatività del tuo mondo”. Come quella volta che, conclude Agata, “andai a fare visita ad un minore ricoverato in ospedale a causa di una tubercolosi che, nonostante la sofferenza e la noia di trovarsi in un posto dove non conosceva nessuno e dove capiva poco, mi accolse con un grande sorriso. Gli chiesi il motivo di quel sorriso. Mi rispose che il suo nome in italiano significava ‘Felice’ e che quindi non poteva che esserlo”.