Il Creato proteso verso la libertà dei figli di Dio
Ogni giorno la terra implora la nostra custodia e si chiede se vorremo farne un deserto o un giardino.
«L’ardente aspettativa della creazione… è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» (Rm 8,19-23).
Profughi ambientali
Tra la folla di chi fugge da situazioni di morte cercando aiuto e salvezza, vi è chi è costretto a fuggire a causa di disastri ambientali oppure di cambiamenti climatici, al quale però il diritto internazionale non riconosce lo status di rifugiato, e che quindi è privo del diritto alla protezione. Si tratta dei profughi ambientali che scappano per l’appunto a causa di problemi ambientali che presentano o un’insorgenza rapida (terremoti, eruzioni vulcaniche, frane, inondazioni) o un’insorgenza lenta (desertificazione, salinizzazione, siccità). La terra è stata data in custodia da Dio all’uomo, suo partner nell’alleanza, ma purtroppo il custode si è mutato in aguzzino che troppo spesso l’ha sfruttata, inquinata, deturpata. I reati ambientali si sono moltiplicati a dismisura perché sono aumentati i reati contro l’essere umano. Tra i martiri del Vangelo oggi contempliamo anche i cosiddetti “martiri del creato”, uomini e donne sedotti dalla divina Bellezza che durante la loro esistenza hanno cercato di proteggere con tenerezza la madre terra per amore dei fratelli e delle sorelle.
Il creato: giardino o deserto?
La Genesi ci parla di un operaio, Dio, che è permanentemente all’opera, come dirà Gesù: «io opero sempre come il Padre mio opera sempre» (Gv 5,17). Ma dopo aver creato, la Genesi registra l’assenza di chi possa lavorare il suolo. L’opera creatrice di Dio include un collaboratore: l’uomo. La sua vocazione si chiarifica. Egli è chiamato alla sinergia con Dio: «Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2,15). L’uomo è chiamato a lavorare la terra/giardino per farla passare sotto l’azione dello Spirito. Il suo lavoro deve fare entrare il creato nel soffio di Dio. Per fare questo Dio gli conferisce potere (cf. Gen 1,26). Il dominio dell’uomo sulla natura non deve mutarsi in tirannia, ma deve prefiggersi come scopo l’armonia che permette anche l’equilibrio ecologico della terra e dei suoi abitanti. Egli riceve il potere per mantenere la giustizia come un sovrano responsabile, un pastore coscienzioso, custodendo il creato e non dilapidandone le ricchezze. Ma con il peccato la materia appare come la promessa dell’io che afferma se stesso, l’illusione che ci si possa perfezionare e migliorare da sé. L’uomo viene espulso dal giardino e si trova davanti ad un “divieto d’accesso”. A causa di ciò il suolo viene maledetto (cf. Gen 3,17). Rotta la sinergia con Dio, il creato diviene una tomba e il signore del giardino diventa un bracciante che fa esperienza di povertà. La terra, dopo essere stata maledetta, si ribella al lavoro dell’uomo e occorrerà attendere l’umanità nuova inaugurata da Noè e i suoi figli per scoprire la generosità della terra. Terra amica è anche quella dell’Egitto, quando in tempo di carestia, diviene ospitale grazie alla sapienza di Giuseppe. Ma poi da amica essa si muta in nemica a causa di un faraone dal cuore indurito che trasforma gli ebrei in macchine da lavoro. Lavorare la terra diviene fatica, sfruttamento, schiavitù.
Allora il Dio così visceralmente coinvolto nelle vicende del suo popolo interviene perché Israele passi da una terra di schiavitù a una terra di libertà. Il dono di un paese fertile non è motivato da meriti particolari (quali giustizia o rettitudine di cuore, cf. Dt 9,5-6), ma solo dall’elezione gratuita e amorevole di Dio (cf. Dt 7,8). Dall’uscita dall’Egitto all’esperienza dell’esilio in Babilonia, però, l’infedeltà del popolo attira di nuovo la maledizione e la terra viene contaminata da numerose tracce di idolatria. Si manifesta così il legame strettissimo tra responsabilità umana e condizioni in cui versa la terra. Le catastrofi naturali, come i disastri politici, sono la conseguenza inevitabile dell’infedeltà del popolo all’alleanza. Il peccato trasforma la terra in deserto. La desertificazione esteriore, infatti, non è altro che la conseguenza diretta della desertificazione interiore. Il cuore indurito segna la battuta d’arresto della comunione con i fratelli, con la terra, con Dio.
Il deserto diventa il luogo della fame, dell’angoscia, delle tentazioni, ma anche della sepoltura del proprio ideale di autosufficienza. Così da luogo di morte esso si muta gradualmente in spazio salvifico e in occasione di rinascita: luogo dell’essenzialità dove non ci si può più nascondere da Dio e dove egli può parlare al cuore (cf. Os 2,16), intercettando tutta la ‘potentia oboedentialis’ della sua creatura.
Il cosmo riflesso delle relazioni
Il cosmo nella visione biblica vive di riflesso tutto ciò che vivono gli esseri umani. Sembra quasi un bambino emulo degli adulti. Se gli uomini e le donne non sono attenti alla qualità della loro relazione con il prossimo e con Dio, ecco che nella natura si manifestano disordini. Un esempio è l’esperienza del diluvio raccontata nella Genesi: dinanzi al peccato degli uomini le acque si sconvolgono. Quando invece gli esseri umani scelgono di vivere relazioni armoniche improntate al rispetto e all’amore, accade che il creato manifesti tutta la sua potenziale alleanza con le creature e soprattutto con gli uomini e le donne, dando il meglio di sé. Un esempio appare nel Cantico dei cantici dove il creato, emulo dell’uomo e la donna che nell’amore si benedicono reciprocamente, è un tripudio di bellezza: da un lato si assiste all’epifania dell’amore umano che sembra rispondere al risveglio della natura a primavera, dall’altro si contempla l’epifania di una natura assopita che con il sopraggiungere dell’amore sembra risvegliarsi.
Per poter riflettere le relazioni umane, il cosmo è anch’esso coinvolto nell’esperienza del sabato che è l’atto che convalida tutto ciò che Dio ha creato ed è fonte di beni spirituali. Nel sabato si fa esperienza del riposo per poter rispristinare l’equilibrio nei rapporti non solo con Dio, ma anche con le altre creature e con il creato intero. Il sabato è comandamento, perché custodisce dalla morte, ed è memoria perché ricorda l’uscita dall’Egitto o casa di schiavitù verso la terra della libertà. Da esso scaturisce anche l’anno sabbatico, tempo di grazia speciale per la terra che viene fatta riposare rimanendo a maggese per un anno (cf. Lv 25,1-5). In tal modo, non solo le persone e gli animali, ma anche il suolo viene custodito da ogni forma di accanimento e sfruttamento. Riposando, esso ha il tempo di rigenerarsi e di servire meglio per la vita delle creature fatte a immagine e somiglianza di Dio.
Il cosmo cristiforme
Con l’incarnazione del Figlio di Dio, le cose cambiano e si rivela la natura del cosmo che è cristiforme: tutto è stato fatto «per mezzo di lui e in vista di lui» (cf. Col 1,16). Nella sua esistenza terrena, Gesù ha uno splendido rapporto con il creato: parla del chicco di grano che deve morire per farsi pane; degli uccelli del cielo che Dio nutre; dei gigli del campo dalla veste elegantissima. Con lui ogni giorno è una festa: gli danno del “mangione” e del “beone” perché ama spezzare il pane con tutti, poveri e ricchi. Non nutre mai sospetti circa la bontà del creato, sa che «ogni creazione di Dio è buona e nulla va rifiutato, se lo si prende con animo grato, perché esso viene reso santo dalla parola di Dio e dalla preghiera» (1Tm 4,4-5). Tutto è tôb, «bello», «buono», come il Padre ha voluto sin dall’inizio per tutto ciò che è uscito dalle sue mani. Non teme la terra: la prende tra le mani facendone fango curativo per aprire gli occhi al cieco, vi affonda il dito per scriverci sopra e stornare l’ira di uomini ipocriti accaniti contro una donna che è specchio delle loro fragilità. Nell’ora in cui dona la sua vita, la terra e il cielo si sconvolgono, come se partecipassero alla sua morte per partecipare anche alla sua risurrezione. Il Padre, infatti, ha voluto che «per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli» (Col 1,30).
Il cosmo in attesa e la liturgia
In Rm 8,18-23 l’apostolo Paolo manifesta la sua fede nel rinnovamento dell’universo annunziato dai profeti. La creazione è corrotta, malgrado sia innocente. Il vero colpevole è l’uomo che con il suo peccato ha portato corruzione e disfacimento. Quindi il creato si protrae in avanti scrutando l’orizzonte da lontano e geme in una sorta di travaglio nell’attesa della liberazione e della rinascita: spetta quindi all’uomo liberarla, divenendo egli stesso libero, diventando figlio. L’Apostolo pone dunque il cosmo all’interno dell’economia redentrice vissuta nell’attesa della liberazione completa e della manifestazione della gloria. Per Paolo l’efficacia dell’opera di Cristo penetra tutto il creato e la sua signoria oltrepassa i fedeli fino a raggiungere ogni elemento del cosmo per riempirlo della sua gloria. Cristo, gloria del Padre, espanderà la sua signoria su tutte le cose e comunicherà al mondo la sua pienezza mediante lo Spirito, cosicché ogni realtà, a suo modo e conformemente al proprio stato, sarà presente in Lui. Il Padre ha fatto conoscere ai suoi il desiderio di fare di Cristo il cuore del mondo e di ricapitolare in lui tutte le cose (cf. Ef 1,10).
Il luogo in cui questo processo inizia è la liturgia, dove i credenti sperimentano l’accettazione più positiva del mondo e della creazione: nel chicco di grano, ad esempio, il credente vede il corpo di Cristo come promessa. Chi partecipa alla liturgia porta con sé il mondo e il suo rapporto con la creazione perché essa è un’azione durante la quale si compie il cammino di tutto il creato verso l’altare. Il creato non entra in Chiesa per restare così com’è, ma per divenire ciò che veramente è. Nella liturgia accade la trasfigurazione del mondo. Nei sacramenti, e in special modo nell’Eucaristia, il creato trova la sua maggiore elevazione: il mondo uscito dalle mani del Creatore torna a lui in adorazione. Nella Laudato si’ papa Francesco ci ricorda che «i Sacramenti sono un modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale. Attraverso il culto siamo invitati ad abbracciare il mondo su un piano diverso. L’acqua, l’olio, il fuoco e i colori sono assunti con tutta la loro forza simbolica e si incorporano nella lode. […] Non fuggiamo dal mondo né neghiamo la natura quando vogliamo incontrarci con Dio» (LS 235).
Cieli nuovi e terra nuova
Nel Libro dell’Apocalisse, Giovanni ci fa gettare lo sguardo sull’orizzonte della liturgia, sulla destinazione dell’uomo e del cosmo: non la devastazione, ma la nuova creazione e la comunione. Egli mostra il cosmo ormai trasfigurato dal quale scompare il mare, simbolo del male e tomba di tanta umanità, cimitero di miriadi di migranti in fuga verso una tanto agognata terra promessa (cf. Ap 21,1). Rimosso il mare, immagine del caos che risucchia la vita, si entra nella novità, in un mondo nuovo privo di brutture, che non è una conquista umana, perché proviene direttamente da Dio, un mondo dove scompare il pianto, il lutto, l’affanno e si entra in una festa di nozze eterna dove si gode del dono più grande: la comunione con Dio, con i fratelli e con una terra dove scorre acqua in abbondanza e dove gli alberi producono frutti abbondanti per nutrire e hanno foglie con potere curativo (cf. Ap 21,2-4).
Ogni giorno la terra implora la nostra custodia e si chiede se vorremo farne un deserto o un giardino. Riusciremo a collaborare con il Creatore nel coltivarla perché dia seme al seminatore e pane da mangiare (cf. 2Cor 9,10)? Riusciremo ad ascoltarne i gemiti che ci ricordano che tutti aspiriamo alla libertà che viene dal vivere da figli di Dio liberi e capaci di investirci per la liberazione dei fratelli e del creato?