Per una globalizzazione dei diritti

Ecco un meccanismo – possibile e concreto – per rendere tutti corresponsabili nella gestione del fenomeno migratorio. E “guadagnarci”.

Lungi da ogni retorica, è evidente che la questione migratoria è un fenomeno complesso nel villaggio globale, che riguarda tutti, ricchi e poveri. Purtroppo, però, questo approccio olistico non è così pacifico ed evidente nell’agenda politica internazionale. Se da una parte è vero che l’integrazione è problematica e trova resistenze, un po’ a tutte le latitudini, all’interno di vasti settori dell’opinione pubblica nell’attuale congiuntura; dall’altra è ancora più chiaro che la povertà presente nei Paesi di provenienza dei migranti sta generando un flusso di umanità dolente, spesso ostaggio di circuiti legati alla tratta di esseri umani. Eppure, a pensarci bene, le popolazioni che oggi si muovono da un continente all’altro per guerre, inedia e pandemie rappresentano anche e soprattutto un capitale umano da non sottovalutare per le sue potenzialità. Il tutto interconnesso sempre più con il crescente fenomeno dei cambiamenti climatici. In questa prospettiva, sarebbe auspicabile che si ragionasse davvero in una logica di “governance globale”, tanto più che la gran parte di tali fenomeni – a partire da quelli legati all’ambiente – non conoscono barriere né confini. Come? Ad esempio, instaurando un circolo virtuoso secondo cui chi non compie alcuno sforzo per affrontare una questione che riguarda l’intera comunità planetaria (dunque non solo l’Europa, ma anche i Paesi africani e mediorientali) viene penalizzato, mentre chi riesce ad apprezzare le risorse umane migranti ottiene un riconoscimento, non solo economico. Pensiamo, allora, a un’autorità sovranazionale, sotto l’egida delle Nazioni Unite, in grado di stabilire un “credito di migrazione massimo” (standard) diviso e ripartito sotto forma di «diritti di migrazione» tra Stati sovrani del Nord e del Sud del mondo (dunque non solo europei, perché il tema è globale). L’idea non è ovviamente quella di “monetizzare” la vita dei migranti; si tratta piuttosto di una semplificazione utile a fornire la base per una corresponsabilità di tutti nella gestione di un fenomeno che riguarda la “res publica” dei popoli, dunque tutti.
Il meccanismo sarebbe quello di accogliere i migranti in Europa o in altre parti del mondo in quantità pari o superiore alle quote assegnate (secondo criteri da stabilire in sede internazionale). In caso contrario, il governo in questione dovrebbe acquistare i crediti che gli mancano da altri governi che, invece, si sono comportati in maniera più virtuosa di quanto richiesto, e che quindi possono, per così dire, “cedere” i propri crediti “eccedenti”.
Con questo strumento, dalla duplice valenza politica ed economica, gli Stati che intendono accogliere i migranti ci guadagnerebbero sia economicamente che in reputazione sulla scena internazionale. Infatti, sarebbero messi nelle condizioni di trarre un beneficio dalla vendita dei loro crediti, dimostrando all’intero sistema globale di essere in grado di rispettare le regole e addirittura di fare anche meglio. Allo stesso tempo, il riconoscere un “credito di migrazione” darebbe luogo anche a un parallelo riconoscimento dei diritti fondamentali di ogni uomo o donna migrante (che danno contenuto al legittimo diritto umano di poter scegliere se partire o restare nella propria terra, e di ricevere – se e quando necessario – appropriata assistenza umanitaria), che potrebbe avere un’articolazione diversa, ad esempio, nel caso di una persona in una situazione particolarmente vulnerabile.
Prendiamo allora, Paesi come l’Austria, l’Ungheria o la Polonia che non intendono accogliere richiedenti asilo. In questo caso essi dovrebbero pagare quei Paesi virtuosi che, sulla scena internazionale, si fanno carico della questione migratoria. Non solo: proprio quei governi che manifestano una palese chiusura rispetto alla mobilità umana, dovrebbero investire di più sul versante della cooperazione allo sviluppo dimostrando nei fatti che intendo aiutare i migranti a casa loro. Qui però l’attenzione non va rivolta solo all’Italia, che in questi anni è forse stato il Paese europeo che più di altri, si è fatto carico delle migrazioni attraverso il Mediterraneo. I flussi migratori riguardano solo marginalmente il Vecchio Continente, se si considera che la maggior parte della mobilità umana è concentrata nel Sud del mondo. In termini di valore assoluto del contributo economico per abitante, 8 dei 10 primi Paesi che accolgono rifugiati sono in Africa (Sud Sudan, Ciad, Uganda, Burundi, Niger, Ruanda, Mauritania e Camerun) e 2 in Medio Oriente: Libano (quarto) e Giordania (ottava). Si tratta, dunque, di disegnare una Road map veritiera, che vada ben al di là delle narrative di questo o quello schieramento politico, di questa o quella nazione. È ora di cambiare logica: dalla globalizzazione dei mercati all’affermazione della globalizzazione dei diritti cardine della persona umana.