Il tempo delle scelte

Il tempo delle scelte

"Occorre essere più seri e saper leggere ciò che accade. E agire di conseguenza. Il bivio è tra saggezza e stoltezza", afferma don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro.

“È tempo di vigilare e di fare scelte”. Ne è convinto don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro, per il quale l’insegnamento da recepire, anche dalla pandemia, è “che abbiamo bisogno di più discernimento”. “La superficialità – sottolinea – si paga a caro prezzo. Occorre essere più seri e saper leggere ciò che accade. E agire di conseguenza. Il bivio è tra saggezza e stoltezza”.

L’apostolato del mare taglia il traguardo dei 100 anni. Cosa è stato fatto e cosa resta ancora da fare in questo particolarissimo ambito pastorale?

A Glasgow in Scozia cento anni fa, nell’ottobre 1920, nasceva l’apostolato del mare per dare risposta ai problemi dei marittimi, già all’epoca dimenticati e sfruttati. Il secolo scorso ha visto i mari abitati da guerre, forme di inquinamento devastanti e un numero crescente di merci in movimento. Tutto ciò ha subito un’accelerazione all’inizio del nuovo millennio. Così molte persone soffrono e subiscono gravi forme di ingiustizia. La Chiesa non è rimasta sorda al grido dei lavoratori del mare. Ancora oggi prova a dare risposta con sollecitudine ai nuovi problemi che sorgono. C’è sempre da fare, perché c’è sempre da accompagnare l’attività umana in mare, che è in continua trasformazione, ma ha anche la necessità di essere illuminata dalla Parola di Dio che rende fratelli. L’opera di misericordia di ospitare lo straniero (Mt 25,35) vale per i migranti ma anche per gli equipaggi delle navi, formati normalmente da filippini, indiani, ucraini…

Nei giorni scorsi, Papa Francesco ha inviato un videomessaggio ai lavoratori del mare per esprimere loro vicinanza e gratitudine. In che modo la Chiesa riesce a stare accanto a queste persone?

Gli amici dell’apostolato del mare, scherzando, dicono che il Papa «ha un debole» per i marittimi. Una cosa è certa: la sua attenzione per questo settore rappresenta un modo coerente di attuare il messaggio che ha voluto lanciare con l’esortazione apostolica programmatica Evangelii gaudium. Mi sembrano esserci due richiami alla Chiesa e alla comunità umana. Il primo è quello di seguire con attenzione le trasformazioni del nostro tempo, visto e considerato che non da oggi le migrazioni avvengono in buona parte via mare. Il secondo richiamo riguarda il coraggio di partire dalle periferie esistenziali, dalle vite che sono più trascurate e dimenticate. Da questi richiami ne deriva per la Chiesa un impegno ad essere all’altezza della propria missione. Sappiamo quanto è facile la tentazione di servirsi dei poveri per fare bella mostra di sé. Don Primo Mazzolari metteva in guardia da questo sguardo strumentale verso i poveri invitando a «dare la parola ai poveri». Si tratta invece di condividere l’umanità, soprattutto se ferita e oppressa. Molte periferie della storia abitano in mezzo al mare. Sono così distanti da risultare trascurabili, perché, come si dice, «lontani dagli occhi, lontani dal cuore». In realtà, abbiamo bisogno di incontrare quei volti per capire il nostro grado di civiltà. E di cristianesimo. Ci sollecitano un esame di coscienza.

Alcuni studi hanno messo in relazione inquinamento e diffusione della pandemia. Un ulteriore campanello di allarme che chiama in causa la responsabilità di tutti nella custodia della Casa Comune.

L’inquinamento non è un problema di oggi. Ha radici lontane di qualche decennio. La recente pandemia ha confermato la verità di ciò che ha scritto papa Francesco in Laudato si’: «tutto è connesso». L’inquinamento dell’aria attraverso le polveri sottili e l’enorme massa di CO2 che l’uomo butta nell’atmosfera possono favorire la diffusione di virus. Così come la deforestazione e il disboscamento sfrenato, frutto di una logica estrattivista nei confronti della natura, possono contribuire alla circolazione di nuovi virus. Sappiamo che è così. Fingiamo di continuare come prima per non mettere in discussione i nostri stili di vita. Poi però la vita sorprende e la pandemia ci ha chiuso in casa. Qualche mese fa sembrava inimmaginabile anche solo il pensiero di dover accettare restrizioni alla libertà di alcun tipo. Nessuno avrebbe creduto a una prospettiva simile, da film di fantascienza. Invece, in poche settimane si è materializzato il disastro e non sappiamo quando e come ne usciremo: il problema è planetario. Senza dimenticare le conseguenze sociali ed economiche di una pandemia che ci ha steso. Nel pugilato si chiama KO. L’insegnamento da recepire è che abbiamo bisogno di più discernimento. La superficialità si paga a caro prezzo. Occorre essere più seri e saper leggere ciò che accade. E agire di conseguenza. Il bivio è tra saggezza e stoltezza.

Papa Francesco, lo scorso 24 maggio, ha indetto un anno speciale della Laudato Si’. Un’occasione per approfondire i temi dell’enciclica, ma anche per agire. Cosa possono fare le comunità cristiane nel concreto della quotidianità?

Sono passati cinque anni da quando la Laudato si’ è stata promulgata. Pochi anni, eppure si sono intrapresi cammini fecondi, quasi a confermare il principio secondo cui «il tempo è superiore allo spazio». Si sono iniziati progetti di studio e di formazione sui temi ambientali, si sono avviate attività economiche e finanziarie sostenibili, si sono aperti percorsi educativi. Certo, rimangono ancora molte resistenze, sia dentro che fuori la Chiesa, ad accogliere un messaggio di ecologia integrale che obbliga ad affrontare insieme i problemi ambientali e quelli sociali. Sono molti i semplificatori in questo nostro tempo, in nome più che altro del loro tornaconto individuale. L’enciclica ha avuto comunque il merito di rinnovare i discorsi ecclesiali, di ampliare le prospettive della dottrina sociale della Chiesa, di accrescere le possibilità di dialogo con mondi culturali laici, di rafforzare l’ecumenismo, di svegliare una politica pigra e inadempiente… Non è poco, ma non basta. C’è ancora molto da fare, infatti, se i vescovi italiani hanno scritto nel Messaggio per la giornata del creato 2020: «A cinque anni dalla promulgazione della Laudato si’ occorre anche che nelle nostre Diocesi, nelle parrocchie, in tutte le associazioni e movimenti, finalmente ne siano illustrate, in maniera metodica e capillare, con l’aiuto di varie competenze, le molteplici indicazioni teologiche, ecclesiologiche, pastorali, spirituali, pedagogiche. L’enciclica attende una ricezione corale per divenire vita, prospettiva vocazionale, azione trasfiguratrice delle relazioni con il creato, liturgia, gloria a Dio». Siamo in cammino!

L’ultima rilevazione della Caritas evidenzia un aumento dei problemi legati alla perdita del lavoro e delle fonti di reddito a seguito della pandemia. Quali sono le urgenze che non possono più essere derubricate?

L’urgenza più immediata è quella di rispondere alle nuove povertà causate dalla pandemia. L’analisi Caritas, ad esempio, mette in rilievo che tra i nuovi poveri oggi ci sono molti lavoratori dell’artigianato. Il sostegno economico alle categorie più fragili e colpite non può mancare. Nello stesso momento, però, non possiamo dimenticare che il sostegno al lavoro non avviene solo dal governo o dall’intraprendenza di Caritas. Dipende dal movimento economico che ciascuno sostiene anche con il semplice gesto di fare la spesa o di servirsi di uno sportello bancario. Non è tutto uguale. Se gli artigiani non vendono i loro prodotti, significa che talora preferiamo acquistare beni a basso costo, realizzati in serie oppure attraverso lo sfruttamento della manodopera. Sarebbe il caso, invece, di favorire il lavoro sostenibile, di riconoscere il valore della creatività umana, di rafforzare le scelte etiche in campo economico. L’urgenza allora diventa quella di formare le coscienze al consumo critico. Più diventiamo consapevoli e più possiamo essere responsabili. Più entriamo nei meccanismi della giustizia e più impariamo ad essere giusti. È il tempo di vigilare e di fare scelte.