L’attesa si fa speranza

L’attesa si fa speranza

Cosa significa “vegliare”, “attendere”, vivere l’Avvento oggi in un periodo in cui si diffondono chiusure e paure? Ce lo spiega don Luca Facco, direttore della Caritas di Padova.

Vivere l’Avvento oggi significa “non lasciarsi schiacciare solo dal presente” e “guardare con gli occhi di Gesù di Nazareth questo tempo che stiamo vivendo”. Ne è convinto don Luca Facco, direttore della Caritas di Padova, che spiega in cosa consistono il “vegliare” e l’“attendere”. Verbi che accomunano i desideri e le aspettative delle comunità cristiane e dei migranti che abitano tra di noi, in bilico tra il loro sogno migratorio e la preoccupazione per il clima di “incertezza e paura” creato dal Decreto Sicurezza.

Cosa significa vivere l’Avvento oggi, in un periodo in cui si diffondono paure e chiusure?
Significa guardare con gli occhi di Gesù di Nazareth questo tempo che stiamo vivendo, capaci di chiamare per nome le criticità, ma soprattutto di mettere in luce ciò che di bene e di buono sta iniziando, sta maturando, si sta trasformando  e sta germogliando. Significa non lasciarsi schiacciare solo dal presente, ma essere consapevoli che siamo dentro a una storia di salvezza, capaci, abitando il presente, di far memoria del passato e di guardare al futuro con la fiducia del Padre.

Uno dei verbi dell’Avvento è “vegliare”. Su cosa le comunità  ecclesiali sono chiamate a vegliare? In quali ambiti possono essere sentinelle?
Vegliare innanzitutto  “dentro” di noi. Ognuno è chiamato a prestare attenzione a ciò che avviene nella propria interiorità: pensieri, sentimenti, sguardi, parole… perché è dal di dentro di noi che viene fuori il meglio, ma anche il peggio. Vegliare sulle persone che abbiamo attorno, quelle più vicine, quelle che spesso diamo per scontato o di cui non ci accorgiamo perché sono spesso vicino a noi.  Vegliare sulle parole che ascoltiamo e che pronunciamo perché le parole ci formano e formano il nostro stare insieme. Vegliare sul tempo, il bene più prezioso che abbiamo e che possiamo donare e ricevere, che dice concretamente dove sta il nostro cuore e che dice che cosa ci sta veramente a cuore. Vegliare per poter darci ogni giorno tempi di recupero interiore con spazi di silenzio, tempi di recupero fisico con un riposo ed esercizio fisico sufficiente, tempi dedicati alla lettura di buoni libri e di una informazione che mantiene la nostra mente aperta e libera.

Nella vostra diocesi, parrocchie e associazioni sono impegnate nell’accoglienza di ragazzi e famiglie immigrati. L’inclusione è quindi un processo che può partire dal basso e può diffondersi per “contagio”?
Il capitale più importante che possono offrire le comunità cristiane sono le relazioni comunitarie, gratuite, libere e inclusive. Molte comunità cristiane hanno scelto, dopo percorsi di discernimento comunitario, di offrire spazi all’accoglienza secondo il modello dell’accoglienza micro e diffusa, dando la possibilità ai ragazzi accolti di integrarsi nella comunità. Attraverso queste piccole accoglienze e la conoscenza personale si sono superate le normali e inevitabili paure e diffidenze di fronte a chi non si conosce. Una bella esperienza che varie famiglie nella nostra diocesi hanno scelto di vivere si chiama  “Aggiungi un posto a tavola”, dove una domenica al mese ospitano a pranzo un ragazzo accolto presso qualche cooperativa. Una goccia che dice il grande potenziale presente nelle famiglie che offrono e mettono a disposizione ciò che sono e hanno di più prezioso e una grande opportunità per i ragazzi di rivivere momenti di vita familiare respirando e sentendo atteggiamenti positivi e sereni di vicinanza.

L’Avvento è il tempo dell’attesa: che cosa attendono i migranti che abitano nel vostro territorio?
Principalmente credo che attendano di capire cosa sarà del loro futuro. I migranti che abbiamo conosciuto sono persone abbastanza aggiornate, anche se in modo molto semplificato, sulle nuove normative riguardanti il permesso di soggiorno. Il nuovo decreto sicurezza sta già creando incertezza e paura e si respira, anche tra i migranti stessi, una certa preoccupazione. In secondo luogo credo che attendano e sperino nella possibilità di coronare il sogno migratorio: documenti, abitazione e lavoro. Molti vorrebbero ricongiungere la famiglia, altri riuscire solo ad inviare qualche soldo a casa per poter mantenere i figli o la moglie o i genitori anziani. Anche per loro, come per noi, l’attesa si fa speranza..

In cosa consiste il progetto “Work in progress” e quale è lo stato dell’arte?
Il progetto  verte principalmente sulla possibilità di offrire ai migranti formazione e inserimento lavorativo tramite borse lavoro. Grazie al progetto la Caritas Diocesana di Padova ha creato una collaborazione con ENAIP Padova che prevede 3 corsi e tirocini formativi per 10 persone a corso, per un totale di 30 persone.
Il primo corso, di saldocarpenteria, si è già concluso ed ha visto la partecipazione di 9 persone. A breve i partecipanti verranno inseriti in altrettante aziende per un periodo di tirocinio, retribuito grazie ai fondi della Campagna “Liberi di partire, liberi di restare”.  Il secondo corso di logistica e magazzino, previsto per altre 10 persone, inizierà, ci auguriamo,  entro fine anno, mentre il terzo e ultimo riguardante il settore della ristorazione prenderà avvio per la primavera del 2019.