Nel Dna dei cristiani

Nel Dna dei cristiani

"Solo uno sguardo cinico può colpevolizzare i profughi del clima", osserva don Bruno Bignami, direttore dell'Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro.

“Le conseguenze dell’atteggiamento dispotico umano nei confronti dell’ambiente sono pagate dai poveri, a caro prezzo”. I migranti infatti “sono l’ultimo anello della catena, quello debole: sono depredati del loro futuro a casa loro e per giunta dovrebbero sentirsi in colpa perché bussano chiedendo ospitalità alle società da cui spesso sono stati spremuti e rapinati”. Lo rileva don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro, sottolineando la connessione tra Creato, fenomeno migratorio, lavoro e sviluppo.

Quella del Papa non è una semplice preoccupazione ecologista. Perché la questione della salvaguardia del Creato chiama in causa i cristiani?
Il tema della cura è nel Dna della fede cristiana. Papa Francesco, con l’enciclica Laudato si’, ha dato voce a una sensibilità crescente ma soprattutto a un’urgenza che è quella di salvaguardare la nostra umanità. Nella complessità attuale non è possibile farlo, se non anche attraverso l’ecologia integrale. Per aver cura della vita umana bisogna occuparci della salute del pianeta su cui la vita si svolge. Dobbiamo essere grati a papa Francesco per questa attenzione. La Chiesa italiana ha mostrato dal lontano 2006 una speciale cura pastorale su questo tema, accompagnando l’inizio del mese del creato (1 settembre – 4 ottobre) con un apposito messaggio. Una sintonia importante tra il Magistero e il mandato biblico di «coltivare e custodire» (Gen 2,15), tra l’insegnamento ecclesiale e la storia dell’umanità.

Ad ottobre si svolgerà il Sinodo sull’Amazzonia. In che modo questo evento, che sembra riguardare una parte del Pianeta, interpella il mondo intero?
Il Sinodo per l’Amazzonia è particolarmente significativo sicuramente per il mondo latino americano. Alcune questioni particolari riguarderanno quelle terre e quelle culture, e questo è ovvio. Ma un Sinodo così speciale non potrà non interpellare l’intera comunità cristiana su diversi fronti. In primo luogo, sono implicate l’organizzazione della vita ecclesiale e la ministerialità al servizio delle parrocchie. In secondo luogo, alla luce di Laudato si’, l’Assemblea sinodale interpella tutte le Chiese per le interconnessioni ambientali dell’intero pianeta. Violentare la foresta amazzonica è anche favorire un impoverimento globale che porta a mettere a rischio la salvezza dell’umanità. L’innalzamento del cambiamento climatico avrà effetti devastanti su ogni territorio e sulle diverse regioni del pianeta. Da ultimo, il Sinodo potrebbe offrire un’interessante provocazione per tutti i nostri territori. Come scrivono i vescovi italiani nel messaggio 2019 sulla biodiversità: «Qual è la nostra Amazzonia? Qual è la realtà più preziosa – da un punto di vista ambientale e culturale – che è presente nei nostri territori e che oggi appare maggiormente minacciata?». Una bella domanda a cui non possiamo sottrarci con forme di strabismo che vedono i problemi solo in casa di altri, a migliaia e migliaia di chilometri di distanza. Troppo comodo e deresponsabilizzante.

Land grabbing, inquinamento, sfruttamento iniquo delle risorse: sono solo alcune delle cause che spingono molte persone ad abbandonare la loro terra divenuta invivibile. Il tema ambientale è strettamente connesso alle migrazioni…
Le situazioni citate sono veri e propri drammi del nostro tempo. Quando la terra diviene inospitale per la vita umana, la frittata è fatta. Non resta che abbandonarla e cercare fortuna altrove. Solo uno sguardo cinico può prendere con superficialità questi drammi e colpevolizzare i profughi del clima quasi che se la siano cercata. Ha ragione papa Francesco in Laudato si’: le conseguenze dell’atteggiamento dispotico umano nei confronti dell’ambiente sono pagate dai poveri. A caro prezzo, per di più. I migranti sono l’ultimo anello della catena, quello debole. Sono depredati del loro futuro a casa loro e per giunta dovrebbero sentirsi in colpa perché bussano chiedendo ospitalità alle società da cui spesso sono stati spremuti e rapinati. Bisognerebbe finirla con le menzogne e capire da dove arrivano molte delle risorse che oggi ci fanno ricchi: si pensi al coltan, all’uranio, ai diamanti, all’oro e altri minerali o legnami pregiati… Ironia della sorte, o dramma nel dramma, è che in cambio di risorse naturali, in questi Paesi, talvolta arrivano armi, guerra e instabilità sociale. Come a dire, oltre al danno la beffa!

Nel Messaggio per la 69ª Giornata nazionale del Ringraziamento, che sarà celebrata il prossimo 10 novembre, i vescovi evidenziano il “forte legame” tra il pane, “frutto della terra” e il lavoro. Come si rinsalda la relazione tra ambiente e occupazione?
I vescovi italiani, in occasione della Giornata del Ringraziamento, ci aiutano a riflettere sul senso del pane, elemento basilare della nostra vita quotidiana. È curioso notare che la nostra cultura associa in modo molto stretto pane e lavoro. Infatti, altro modo per dire lavoro è «portare a casa il pane», che non serve solo a sfamare la famiglia, ma è «portatore sano» di dignità. Chi lavora non solo può mangiare, ma costruisce i presupposti perché altri possano farlo. Quest’anno celebreremo la Giornata del Ringraziamento in diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti: il territorio pugliese baciato dalla fecondità per la qualità del grano e del pane prodotto. Il passaggio dal grano al pane è frutto del lavoro, dell’ingegno culturale e della sapienza umana. Il lavoro è salvaguardato dentro a questa prospettiva creativa che edifica e custodisce la vita. Tertium non datur!

Lo sviluppo sostenibile, il ritorno all’agricoltura, la valorizzazione dei borghi: i giovani, ad esempio con le iniziative promosse attraverso il Progetto Policoro, testimoniano un impegno concreto per il Creato. Cosa bisognerebbe fare perché tutto questo venga messo a sistema?
La Chiesa italiana ha a disposizione una Ferrari, che però rischia di lasciare in garage.  Fuor di metafora: il Progetto Policoro compirà a breve 25 anni ed è nato dall’intuizione di don Mario Operti che ha voluto investire sulla formazione dei giovani. Per lui il creare impresa poteva avvenire solo all’interno di una comunità vissuta e di una vocazione compresa. I giovani e il lavoro si possono sposare se la loro esistenza è abitata dal Vangelo. In questi anni, grazie al Progetto Policoro, molti giovani hanno appreso competenze fondamentali per creare attività sociali e per stare dentro al mondo del lavoro da credenti. La ricchezza relazionale ed economica prodotta è tutt’altro che insignificante. È un percorso di impegno concreto per un’economia sostenibile, per sviluppare la creatività cooperativa e per promuovere impresa. Quello che non si capisce è perché tutto questo bene fatichi ad essere narrato e comunicato.