Non c’è pace senza accoglienza

Non c’è pace senza accoglienza

Non avere paura dell'altro: l'esperienza della Cittadella della Pace di Rondine.

Imparare ad incontrare l’altro, a vederne la positività e a non averne paura. Nella Cittadella della Pace di Rondine, in provincia di Arezzo, questo si sperimenta nella quotidianità. E giorno dopo giorno si costruiscono percorsi di conoscenza  e di comunione. A dimostrazione del fatto che la pace “non è un’utopia, ma è assolutamente possibile”, sottolinea Franco Vaccari, presidente e fondatore dell’associazione che da oltre 20 anni promuove e attua la cultura del dialogo.

Il tema della recente Giornata Mondiale dei Poveri era “amiamo non a parole, ma con i fatti”. Nella realtà di Rondine l’accoglienza è un fatto, non uno slogan. Come si realizza?

A Rondine pratichiamo una parola che si ripete spesso e a volte provoca qualche allergia: pace. L’abbiamo scritta nel nome “Cittadella della Pace” per essere liberi di non pronunciarla più, ma di metterla in pratica. Non c’è pace senza accoglienza, senza entrare in relazione con i bisogni degli altri, soprattutto di coloro che fuggono dalla guerra. La guerra è infatti produttrice di povertà immediata in quanto distrugge, ferisce, uccide, crea profughi, ma anche di fenomeni come l’odio e la violenza che possono essere definiti carsici, poiché riemergono dopo un certo tempo, come ad esempio nei Balcani. Dobbiamo ricordare che la pace non è assenza di guerra, occorre preoccuparsi delle ferite. A Rondine lavoriamo sugli effetti tragici della guerra nel lungo periodo, rimarginando le ferite e restituendo persone che non sarebbero volute scappare e che vogliono dare un contributo al loro Paese.

Il progetto “Il diritto a non fuggire” serve a formare leader che possano essere poi capaci di incidere sulla realtà politica e civile locale. L’accoglienza diventa dunque il primo passo per la pace?

Il grande guaio della guerra ha tre esiti sulla popolazione: una parte non riesce a reagire e soccombe, una parte tenta di scappare per trovare la salvezza, e una parte minoritaria non si rassegna e vuole fare qualcosa per la propria terra. Rondine si rivolge a quest’ultima fascia di persone e offre opportunità di formarsi sul piano umano, morale, culturale e professionale per poi tornare e occupare posti di rilievo nella classe dirigente.
Abbiamo sete di speranza e qui a Rondine siamo dei privilegiati perché la viviamo. Vedere in questi ragazzi del Mali, protagonisti del progetto, la motivazione, il compito interiorizzato di spendersi per il proprio Paese, è bellissimo. Se questo si moltiplicasse, in 10 anni il Mali cambierebbe volto. Non è un’utopia, ma è concretezza. Noi indichiamo una strada possibile, ma serve anche l’impegno della politica.

Come si possono costruire percorsi di riconciliazione a partire dal quotidiano, dal basso?

Anche in un luogo di guerra ci sono sempre il bene e persone che alimentano la speranza. Noi lavoriamo su due binari: selezioniamo coloro che vengono a formarsi a Rondine e contemporaneamente  continuiamo una ricognizione attenta sul territorio per creare opportunità affinché, al rientro, l’esperienza possa avere successo. Apriamo cioè strade che possano dare risultati nel lungo periodo.

Nella vostra Cittadella si impara a convivere e a superare i conflitti. Di fronte ad un populismo che nasconde spesso razzismo e intolleranza, il messaggio che arriva dalla vostra esperienza è che l’incontro, la pace, sono possibili….

Sono assolutamente possibili e sono il vero sviluppo. Ogni linea difensiva di fronte ai conflitti non genera sviluppo, ma sopravvivenza. La chiusura e il razzismo sono figli della paura. Perché l’altro è sempre straniero a me stesso. Occorre dunque aiutare a non avere paura dell’altro, creare opportunità per incontrarlo e scoprirne la curiosità, la sorpresa, la positività, il fascino che genera. Questa dovrebbe essere la preoccupazione della politica e non quella di cavalcare il sentimento della paura. La Cittadella è una realtà concreta e un valore simbolico: la pace non è spontanea, serve un’educazione. E papa Francesco, con la Giornata dei Poveri, ci ha educato ad un gesto concreto: ogni aula, ogni città, possono diventare quella meraviglia che abbiamo visto e condiviso.