Pace a questa casa…comune

Pace a questa casa…comune

Dopo la firma del Global Compact, “il 2019 può esser l’anno in cui la responsabilità condivisa di tutti, a diversi livelli, trasforma questo patto in un’azione effettiva e incisiva”, sottolinea padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli che auspica che “anche l’Italia voglia partecipare attivamente a questo importante cambiamento”.

di p. Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli

«La pace è frutto di un grande progetto politico che si fonda sulla responsabilità reciproca e sullinterdipendenza degli esseri umani». É questo uno dei passaggi del Messaggio di papa Francesco per la Giornata della pace 2019. In un momento storico in cui il numero dei migranti, dei rifugiati e degli sfollati non è mai stato così alto nel mondo (oltre 250 milioni). In un tempo in cui il nesso tra guerra e povertà estrema diventa sempre più evidente. Secondo studi recenti, nel corso del 2017, sono 124 milioni nel mondo le persone a rischio di morte causata dalla malnutrizione acuta, con un deciso aumento rispetto al 2016, e questo aumento dipende in grandissima parte dalle situazioni di guerra e di conflitto: pensiamo solo al caso dello Yemen. In Europa crescono le tensioni e i timori rispetto alla gestione dei flussi migratori, che divengono sempre più uno strumento di propaganda, e si fatica a concordare un’azione comune.
Il Patto Globale per una migrazione sicura, ordinata e regolare adottato a Marrakech lo scorso 12 dicembre con 164 Stati favorevoli, 5 contrari e 12 astenuti tra cui l’Italia, può essere interpretato nella direzione di un tentativo di elaborare un progetto politico che si fondi sulla responsabilità e sulla interdipendenza. Uno strumento perfettibile certamente, che per alcuni forse non avrà risultati incisivi, tuttavia, occorre riconoscerlo, si è trattato di  un faticoso processo diplomatico e politico, che ha fatto sedere intorno a un tavolo negoziale, i Paesi del mondo su un tema così dibattuto come quello migratorio, in  un tempo non facile dove nazionalismi e paura sembrano mantenersi reciprocamente. Non un trattato, non un accordo vincolante, ma un patto sottoscritto volontariamente, il primo accordo internazionale sulle migrazioni a livello globale in cui risulta chiaro che non si può gestire il fenomeno da soli. Un testo in cui la sicurezza è riferita alle migrazioni (e ai migranti) e non solo e soltanto ai Paesi di arrivo. Un tentativo per garantire la libertà di restare nella propria terra, di ridurre la vulnerabilità delle migrazioni, di salvare vite umane, di prevenire il traffico di esseri umani, di accompagnare i migranti nei paesi di transito e aiutarli all’integrazione in quelli di arrivo. Il 2018 si è chiuso con l’adozione del patto da parte di molti Paesi, il 2019 può esser l’anno in cui la responsabilità condivisa di tutti, a diversi livelli, trasforma questo patto in un’azione effettiva e incisiva. «Oggi più che mai, le nostre società necessitano di artigiani della pace che possano essere messaggeri e testimoni autentici di Dio Padre che vuole il bene e la felicità della famiglia umana». Auspichiamo che anche l’Italia voglia  partecipare attivamente a questo importante cambiamento.