Tunisia, terra di passaggio
Padre Claudio Santangelo, direttore di Caritas Tunisia, racconta la situazione dei migranti nella terra in cui presta servizio. Per molti è una vera Via Crucis.
di Stefania Careddu
Se c’è un termine che si addice alla Tunisia è proprio “Pasqua”, cioè passaggio. “Per definirla, si possono considerare i complementi di moto da luogo, per luogo e a luogo”, è l’esempio che usa padre Claudio Santangelo, missionario vincenziano e direttore della Caritas nazionale, per spiegare che la Tunisia inizialmente era “una terra di provenienza dei migranti, è diventata di transito, ma ora è anche di destinazione, scelta da parte di alcuni e subita obbligatoriamente da altri che sognavano invece la vera Pasqua al di là del Canale di Sicilia”.
La maggior parte dei migranti arriva dalla Costa d’Avorio. “Non hanno bisogno di un visto e per 90 giorni possono rimanere: c’è dunque una certa facilità ad arrivare in Tunisia per coloro che hanno il miraggio di proseguire”, afferma il direttore della Caritas sottolineando che si tratta per lo più “di vittime della tratta e di racket nel loro Paese”. In Costa d’Avorio, infatti, “c’è un’organizzazione strutturata con referenti in Tunisia che utilizza diverse modalità per profittare dal punto di vista economico di queste persone”.
Allo scadere dei 90 giorni, scatta il fattore irregolarità . Non solo: “in Tunisia, una legge stabilisce che per ogni settimana di soggiorno irregolare bisogna pagare una penale di 20 dinari”. Quindi, rileva padre Santangelo, “chi matura la decisione di rientrare nel Paese di provenienza spesso resta bloccato perché non ha possibilità economiche per saldare il debito”. A questo, continua,  “vanno aggiunte le ricadute dal punto di vista psicologico perché la situazione che si viene a creare mostra che si è sgonfiato tutto, che il castello di carta è crollato portandosi dietro ogni illusione, e così prende corpo il senso di impotenza e di incapacità a riprendere in mano la propria vita”.
In quella terra di passaggio che è la Tunisia poi ci sono i migranti che “decidono di restare da irregolari e che vengono sfruttati perché non hanno nessuna chance di essere regolarizzati dal momento che nel Paese è molto difficile ottenere anche lo status di rifugiato”. C’è “chi prova a partire e spesso muore in mare” e chi è costretto a rimanere perché carcerato. “Come Caritas ci occupiamo di visitare i prigionieri cristiani nelle carceri di Tunisi e in quelle di Sfax e Susa”, spiega il missionario vincenziano confidando che “pur di ricevere una vista tutti lo diventano”. “Portiamo aiuti materiali, facciamo celebrazioni eucaristiche due o tre volte l’anno, diamo loro supporto e manteniamo i contatti con le famiglie di origine. In un anno abbiamo scansionato 2800 lettere”, racconta padre Santangelo.
Per i migranti, le cose non migliorano nemmeno “una volta ricevuta la grazia o scontata la pena”. Se scelgono di rientrare nel loro Paese, vengono trasferiti in “un centro di accoglienza temporanea, una sorta di prigione, dove possono rimanere al massimo due mesi e nel frattempo devono organizzare il viaggio”. “Se non riescono a farlo perché non hanno soldi e mezzi, vengono accompagnati al confine con l’Algeria e lasciati lì”, taglia corto il direttore della Caritas.
Per quanti invece hanno deciso di tornare, “il partner riconosciuto dallo Stato può esonerare dal pagamento delle penali  e in caso di rimpatrio volontario provvede al biglietto aereo, ma non al soggiorno durante questo iter che può durare anche alcuni mesi”. A farsene carico è la Caritas che ha aperto le porte di un centro di accoglienza con 10 posti per donne e bambini e 6 per gli uomini. Con i fondi del progetto promosso nell’ambito della Campagna “Liberi di partire liberi di restare”, si vuole creare “un altro Centro a Sfax con 8 posti per l’accoglienza di urgenza, non necessariamente legata al rimpatrio volontario, e uno a Tunisi con 10/12 posti”. Per i migranti, “provati e disorientati”, è fondamentale avere un tetto, ma anche “la relazione, un supporto psicologico, le cure mediche e un accompagnamento umano”. “Curiamo pure la formazione professionale grazie ai laboratori di cucina/pasticceria e di parrucchiera/estetista, ma puntiamo ad ampliare l’offerta”, evidenzia il direttore della Caritas annunciando la volontà di “stabilire contatti con la Chiesa locale e la Caritas della Costa D’Avorio perché si agisca sull’informazione rivolta a chi vuole lasciare il Paese e sulla creazione di opportunità per il reinserimento lavorativo di chi rientra”. Così che per tutti possa esserci una Risurrezione, “non necessariamente quella che avevano sognato o che gli era stata prospettata. E per la quale non avevano ipotizzato di passare per il Golgota”.