Un approdo sicuro

Un approdo sicuro

Per tante donne migranti, sole o con i loro bimbi, a Siracusa l’accoglienza ha il volto di suor Angjelina e delle sue consorelle.  

di Stefania Careddu

Quando arrivano in porto, sorridono. Nonostante tutto, perché sanno “di essere state salvate”. Sono le donne, molte giovanissime, che approdano sulle nostre coste, con un bagaglio di sogni, lacrime, fatiche e dolori. “Qualcuna bacia la terra, qualcun’altra fa il segno della croce”, racconta suor Angjelina Preçi, scalabriniana, che spesso va ad accoglierle quando sbarcano, “un momento che non è mai facile da affrontare”. Provengono dal Gambia, dalla Nigeria, dell’Eritrea e dalla Libia. Alcune tengono in braccio dei neonati, altre li portano ancora in grembo. “Tutte ci chiamano subito ‘mamma’”, rivela suor Angjelina, albanese di Scutari. Nata “nel cuore di un regime comunista”, ha vissuto sulla propria pelle la sofferenza per la “persecuzione”: “mio zio sacerdote ha fatto 20 anni di carcere e la nostra famiglia era sempre tenuta sotto controllo, ma Dio ci ha aiutato”, sorride la religiosa che oggi a Siracusa si occupa principalmente di aiutare le donne e i loro bimbi. “Andiamo a trovarle e a prenderle ai semafori, davanti alle porte dei negozi e delle chiese dove chiedono l’elemosina, oltre che ad accoglierle quando sbarcano. Le aiutiamo, soprattutto nei centri dove vengono ospitate”, spiega la suora sottolineando che queste ragazze “hanno bisogno di essere ascoltate”. “Le mie orecchie – confida – sentono parlare di sofferenze inaudite: in Libia, prima di imbarcarsi, vivono in capannoni, che sono una specie di carcere dove vengono tenute legate per sei mesi, mangiano poco e subiscono violenze”.
Sono provate, fragili, a volte chiuse in sé stesse. Quello di suor Angjelina è un lavoro paziente di ascolto e sostegno, di prossimità reale e semplice, di incoraggiamento e di aiuto concreto. “Insieme al corso di lingua italiana, abbiamo promosso un laboratorio di taglio e cucito e uno di artigianato per produrre borse, centrini e cappelli”, dice la suora scalabriniana, convinta che “la formazione sia fondamentale per l’integrazione”.