Un cambio di passo
Nel nostro Paese, è “urgente mettere in campo e unire tutte le forze e gli strumenti utili per contrastare la deriva culturale che sembra avere il sopravvento”. Intervista a don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana.
È “urgente mettere in campo e unire tutte le forze e gli strumenti utili per contrastare la deriva culturale che sembra avere il sopravvento”. E per reagire alla “diffusa tendenza a costruire luoghi comuni sui più poveri e su coloro che lavorano per accoglierli e tutelarli”. Lo sottolinea don Francesco Soddu, direttore di Caritas, Italiana, per il quale occorre “far rinascere speranza”.
Quale messaggio porta la Pasqua all’Italia e all’Europa di oggi?
«L’umanità deve prendere coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo» aveva già affermato con forza papa Francesco nell’enciclica Laudato Si’, sulla “cura della casa comune”. A quasi quattro anni da quell’enciclica sono sempre e drammaticamente attuali tutti i temi trattati e, nell’imminenza della Pasqua, è più che mai necessario un cambio di passo. Anzi, come sottolinea il Santo Padre nel Messaggio per la Quaresima, serve un cammino di vera conversione, abbandonando l’egoismo, lo sguardo fisso su noi stessi, e facendoci prossimi dei fratelli e delle sorelle in difficoltà, condividendo con loro i nostri beni spirituali e materiali. Un cambiamento che deve influire anche sulla cultura, mettendo l’umanità di fronte alle proprie responsabilità e promuovendo un autentico sviluppo integrale di ogni uomo. Tutto questo è tanto più importante di fronte al contesto attuale quanto mai complesso e mutevole, di fluidità e incertezza e chiede di assumere uno sguardo integrale, acquisire la capacità di programmare, facendo attenzione alla sostenibilità e alle conseguenze delle scelte di oggi anche in tempi e luoghi remoti. A maggior ragione dobbiamo dunque dare alle nostre comunità gli elementi per discernere, soprattutto nelle situazioni più equivoche e complesse. Solo così le comunità possono diventare ‘ponte’ tra quanto celebrano e ascoltano e quanta carità/amore vivono quotidianamente grazie alla forza trasformatrice del Risorto.
Prima di risorgere, Gesù sperimenta l’umiliazione e l’atrocità della Croce. Chi sono i Crocifissi del nostro tempo?
I crocifissi del nostro tempo sono, appunto, coloro che, come Gesù, sperimentano le umiliazioni ed ogni tipo di atrocità. All’interno di questo si pongono tutte quelle categorie di persone nelle quali Gesù stesso si è identificato e, come ci ricorda il cap. 25 del Vangelo di san Matteo, costituiscono il metro del giudizio escatologico: affamati, assetati, nudi, ammalati, carcerati, forestieri ecc. In Evangelii Gaudium (n.210) papa Francesco accenna a un elenco di nuove forme di povertà e di fragilità in cui siamo chiamati a riconoscere Cristo sofferente: i senza tetto, i tossicodipendenti, i rifugiati, i popoli indigeni, gli anziani sempre più soli e abbandonati, i migranti,…Ma poi aggiunge anche le nuove forme di schiavitù: “Vorrei – aggiunge infatti il Papa – che si ascoltasse il grido di Dio che chiede a tutti noi: «Dov’è tuo fratello?» (Gen 4,9). Dov’è il tuo fratello schiavo? Dov’è quello che stai uccidendo ogni giorno nella piccola fabbrica clandestina, nella rete della prostituzione, nei bambini che utilizzi per l’accattonaggio, in quello che deve lavorare di nascosto perché non è stato regolarizzato?”.
Dentro ciascuna di queste categorie di persone, innanzitutto, va identificata la causa generante lo stato di povertà, che solitamente consiste nella ingiustizia. Davanti a questa affermazione si può ben intuire come il numero dei crocifissi sia veramente alto, e la responsabilità dei credenti innanzitutto, sia volta a mettere in campo un impegno che veda riconosciuta la giustizia. Proprio per questo occorre uno sguardo che sappia vedere evangelicamente, scorgendo appunto i tanti Crocifissi del nostro tempo. Dobbiamo inoltre imparare a “leggere i territori” in termini di relazioni, contatti, progetti. Un impegno che deve portare a rispondere – come sempre – ai bisogni che ci vengono segnalati, ma anche ad anticipare i fenomeni e a intercettare il disagio prima ancora che si acutizzi.
Lungo la strada verso il Golgota, Gesù viene aiutato dal Cireneo. Nel mondo attuale, spesso chi soccorre è il primo ad essere accusato, preso di mira, colpito… Cosa sta succedendo?
Certamente non posso tacere la mia apprensione verso la diffusa tendenza, a vari livelli, a costruire luoghi comuni sui più poveri e su coloro che lavorano per accoglierli e tutelarli. Quante voci, minacce, provocazioni abbiamo ad esempio ascoltato negli ultimi tempi a proposito di immigrati, rifugiati e organizzazioni non governative, dipinti come il nemico contro cui scaricare tutte le ansie e le paure contemporanee. Quante volte la solidarietà è stata messa in discussione, e con lei tutti coloro che fino a ieri pensavano di operare per il bene comune. Bene comune e solidarietà, che è opportuno ricordare, stanno alla base della buona politica e della Costituzione del nostro paese. È difficile contare le parole e purtroppo i fatti d’odio che a livello globale, in Europa come in America, stanno connotando il dibattito pubblico su questi temi arrivando fino a gesti estremi, come la recente strage in Nuova Zelanda. O anche ad attacchi gratuiti come quelli che hanno colpito in rete la giovane Greta Thunberg, l’attivista svedese che ha puntato il dito sull’indifferenza dei potenti contro i cambiamenti climatici. Eppure proprio da lei – e dall’incredibile eco avuta dal suo esempio – ci arriva un messaggio di stima e speranza nelle nuove generazioni con lo sprone a superare pregiudizi e analisi preconfezionate. Anche in questo tempo di individualismo e di populismo, i giovani sono disposti ad assumersi una fetta di responsabilità, purché li si prenda sul serio, aiutandoli a indirizzare le loro energie in una prospettiva di comunità e di relazioni positive. Dunque, tra luci e ombre, nella consapevolezza, che siamo chiamati ad affrontare una sfida che a tratti appare più grande di noi, è necessario e urgente mettere in campo e unire tutte le forze e gli strumenti utili per contrastare la deriva culturale che sembra avere il sopravvento. Occorre un nuovo stile di presenza, capace di testimonianza, di pazienza, di accompagnamento umile, perché le sfide sono tante e sempre nuove. Ma non impossibili da affrontare.
La Quaresima è stata, per molte comunità ecclesiali, l’occasione per compiere gesti concreti di solidarietà. Cosa bisogna fare per far sì che la carità non sia ‘a tempo’?
La Chiesa ha al centro l’Eucarestia e di conseguenza il concetto di carità come dinamismo e impegno nel servizio al mondo e, come ci ricorda papa Francesco, essa non cresce per proselitismo, ma «per attrazione». Pertanto, l’esercizio della carità è costitutivo della sua stessa missione, tanto che Gesù, come ricordavo prima, lo indica come ambito sul quale egli esercita il giudizio escatologico: “avevo fame e mi avete dato da mangiare…”(Mt 25, 31-46). Entro questo solco deve collocarsi l’anima dell’azione di ogni credente in Gesù Cristo. Ciò è molto più impegnativo di una beneficenza occasionale: non si accontenta di un gesto, ma coinvolge, crea legami e relazioni. Non è dunque solidarietà generica, né tanto meno semplice elemosina. È nuovo modo di essere, stile di vita, sull’esempio di Gesù, dono di amore nella reciprocità per incidere sul costume e sulla vita comunitaria e sociale. In altri termini il comando di Gesù “che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati”, esige oggi un cambiamento di mentalità, di cultura, un nuovo assetto di società per consentire un autentico sviluppo umano integrale, restituendo ad ognuno la propria dignità di persona, la libertà di figlio dell’unico Padre, il diritto di vivere dignitosamente. Qui la carità incrocia la giustizia. Certo, è molto più facile compiere gesti occasionali, magari sull’onda dell’emotività, ma è proprio per questo che occorre potenziare l’impegno educativo di promuovere la carità evangelica che sa essere linfa vitale, capace di trasformare il presente e costruire vera comunità.
Pasqua è sinonimo di vita nuova. Che cosa siamo chiamati a far rinascere nel nostro Paese?
Detto in una battuta, siamo chiamati a far rinascere speranza. Ossia futuro migliore per tutti attraverso un sapiente sistema di vita che veda l’affermazione di uno stile di condivisione come l’anima delle relazioni. Occorrono senz’altro nuovi approcci che siano in grado di dare risposte nuove a realtà nuove. In questo senso, accogliendo pienamente il magistero di papa Francesco particolarmente espresso nella Laudato Si’ e ribadito nel Sinodo sui giovani, non possiamo non moltiplicare attenzione e servizio alle giovani generazioni. È necessario, pertanto, costruire una nuova cultura popolare cristiana, intessuta di pratiche sociali, luoghi, relazioni e modelli relazionali, che sappiano evangelizzare nella vita. Con un’attenzione speciale al complesso e mutevole scenario dei media, travolto dalla “valanga” digitale che però da rischio può diventare opportunità, soprattutto in una prospettiva di partecipazione collaborativa nelle comunità. L’obiettivo, in fondo, è quello di attingere dalla cultura cristiana del servizio, partendo dal cambiamento di sé per giungere ad un cambiamento della società. Spesso, ad essere riscoperta, grazie alla relazione con i “poveri”, è la propria dimensione di fede, che molti rischiano di lasciare impoverire e disperdere.