Una rete di relazioni
Con i minori o nei centri di accoglienza e di ascolto. Si diffonde la “cultura dell’accoglienza” promossa dalle missionarie scalabriniane di Siracusa.
Stanno accanto ai minori stranieri non accompagnati, prestano servizio in una struttura di prima accoglienza e al centro di ascolto della Caritas diocesana. In sei mesi, sono entrate in contatto con circa 250 migranti e ne hanno seguito da vicino una quarantina. Sono i primi frutti del progetto “cultura dell’accoglienza” che le Suore Missionarie Scalabriniane di Siracusa hanno messo in atto per favorire il sostegno sociale e lo scambio interculturale di quanti approdano al porto di Augusta e si ritrovano a vivere in cittĂ . “Facciamo degli incontri con i ragazzi e li aiutiamo ad imparare la lingua”, racconta suor Terezinha Santin, evidenziando che proprio l’italiano diventa strumento per “avvicinare le persone” e farle interagire. Nell’ambito dell’iniziativa finanziata con i fondi della campagna “Liberi di partire, liberi di restare”, aggiunge la scalabriniana, è stato avviato “un laboratorio, un luogo dove si stringono relazioni, si capiscono quali sono i bisogni delle persone e le si aiuta nelle necessitĂ basiche, come ad esempio i nomi dei cibi, la localizzazione geografica o le fermate dell’autobus”. Insieme all’attenzione a ristabilire un contatto tra i minori e le loro famiglie attraverso i mezzi di comunicazione e ad avere riscontri riguardo ai parenti eventualmente dispersi nel corso della traversata, le missionarie che da tre anni sono attive nel territorio della diocesi “si prendono cura di quanti hanno perso genitori o familiari così che possano rasserenarsi”. “Non riuscire a chiudere il capitolo della morte – spiega suor Terezinha – è difficile: per questo prepariamo delle celebrazioni di suffragio, dei funerali, in ricordo di chi non ce l’ha fatta”.
In questi primi sei mesi, durante i quali è stato possibile anche organizzare un campo estivo per i bambini, le religiose hanno continuato l’opera di sensibilizzazione e coscientizzazione, a vari livelli e con diversi interlocutori, in ambito ecclesiale, istituzionale e del volontariato. “Si sono costruite – conferma la referente del progetto – relazioni strette tra volontari e migranti che hanno reso piĂą facile l’integrazione e l’accoglienza con famiglie che abitano vicino ai centri”.