Nei loro panni
"Assumere un atteggiamento inclusivo, compassionevole e accogliente ci può mettere al riparo da un declino non solo morale ma di umanità, perché non si tratta solo di migranti", sottolinea p. Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli.
di padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli
«Non si tratta solo di migranti: si tratta di non escludere nessuno. Il mondo odierno è ogni giorno più elitista e crudele con gli esclusi». In un passaggio del Messaggio per la Giornata del migrante e del rifugiato 2019 papa Francesco fa questa considerazione. Si tratta di non escludere nessuno! Eppure aumenta sempre più il numero degli esclusi, perché volenti o nolenti si accondiscende alla cultura dello scarto, ma quel che è peggio è che si fa una graduatoria tra esclusi, non in base alla maggior o minor difficoltà, non seguendo il criterio della sofferenza o marginalità, ma il discrimine è la provenienza, il colore della pelle, l’identità, a volte la religione. Così chi è più in difficoltà, invece di risalire al primo posto dell’attenzione della società civile, rischia di cadere all’ultimo posto. Rischia di essere ultimo tra gli ultimi. Si tratta di persone che non solo sono escluse, ma scientemente poste fuori dalla cerchia di coloro che sono considerati diseredati e scartati, quindi divengono esclusi tra gli esclusi e progressivamente invisibili. Questo atteggiamento diviene sempre più crudele perché per giustificarsi arriva prima a colpevolizzare e poi a criminalizzare questi esclusi tra gli esclusi, fino a negare quei diritti umani universali che ineriscono all’uomo e non solo al cittadino.
Oggi dunque i migranti e i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta sono diventati l’emblema dell’esclusione. E proprio qui il punto di svolta che ha interessato il samaritano (e può riguardare ciascuno di noi) nella via verso Gerico: uno dei punti più bassi della terra, dove ci porta la nostra disumanità. Il samaritano come dice il papa nel messaggio prova compassione, cioè si mette nei panni del malcapitato, e si fa la medesima domanda che Martin Luther King invita a farci in un celebre commento alla parabola del buon samaritano: non cosa ne sarà di noi, se ci fermiamo nel nostro quotidiano a soccorrere chi è ai margini, con uno sguardo sempre più egoista che alimenta la globalizzazione dell’indifferenza, ma “cosa ne sarà di lui?”, del malcapitato percosso, che ne sarà di loro degli esclusi tra gli esclusi se non ci fermiamo, se non fermiamo la società dello scarto, la cultura dello scarto, se non superiamo gli squilibri economici e sociali, su scala locale o globale? Quello che succede ai migranti e ai rifugiati, di essere vittime della società e della cultura dello scarto, succederà anche a noi, quel noi identitario, che è un noi ferito, un noi indifferente, specchio di società rancorose, divise e sempre più disumanizzate. Assumere un atteggiamento inclusivo, compassionevole e accogliente di chi si mette nei panni del malcapitato ci può mettere al riparo da questo declino non solo morale ma di umanità, perché non si tratta solo di migranti.