Artefici del nostro futuro
Quando integrazione fa rima con formazione e inclusione. Il modello (di successo) sperimentato nell'arcidiocesi di reggio Calabria-Bova dalle cooperative Demetra e Res Omnia.
C’è chi ha terminato il secondo anno di scuola superiore, parla bene l’italiano, ha fatto il volontario in un Campo organizzato dalla Caritas e ora è pronto per frequentare un tirocinio formativo. C’è chi, dopo un percorso travagliato e un grande lavoro su se stesso, ha cominciato uno stage in un albergo della zona; chi invece si è trasferito al Nord per lavorare in un’azienda e chi, inseguendo il suo sogno, ha raggiunto la Francia per giocare in una squadra di calcio. E poi c’è Sambau Michael, 25 anni, originario del Senegal che è stato assunto con un contratto di apprendistato dalla Cooperativa Sociale Demetra, la stessa che lo ha accolto e lo ha accompagnato, formandolo e permettendogli di inserirsi all’interno della Fattoria Sociale realizzata a Placanica su un terreno confiscato alla mafia.
Quelle dei migranti del progetto “Artefici del nostro futuro”, finanziato con i fondi della Campagna Cei “Liberi di partire, liberi di restare” sono “tutte storie di vita e di traguardi raggiunti”, sintetizza, con una punta d’orgoglio, Cristina Ciccone, referente dell’iniziativa promossa con la Cooperativa Sociale “Res Omnia” in stretta collaborazione con gli Scalabriniani, le Missionarie di San Carlo Borromeo, la parrocchia SS. Filippo e Giacomo in S. Agostino e l’ufficio “Migrantes” dell’Arcidiocesi di Reggio Calabria-Bova. “Nonostante le difficoltà oggettive e quelle dovute al momento storico, possiamo dirci molto soddisfatti dei risultati ottenuti”, confida Ciccone, sottolineando che “con il metodo e il modello sperimentati con il progetto, che può essere replicato e adattato ad altri contesti, abbiamo costruito molto, aiutando ogni ragazzo a far emergere il meglio di sé”.
Nella prima fase, uno staff composto da operatori, mediatori culturali e personale delle Cooperative ha selezionato, sulla base di colloqui, “dei migranti che avessero voglia di mettersi in gioco e di crescere” , scegliendoli tra i soggetti piĂą vulnerabili presenti sul territorio. “Li abbiamo presi in carico a 360° gradi, dando loro – spiega Ciccone – la possibilitĂ di abitare in un appartamento comune, fare attivitĂ di socializzazione per integrarsi nel quartiere e nella comunitĂ ecclesiale, formarsi a livello teorico e pratico nell’agricoltura e nei servizi di interesse della cooperativa”. In cambio di “un impegno a migliorare la conoscenza della lingua e alla gestione della casa”.  “Abbiamo avuto poche esperienze negative e tantissime positive”, racconta la referente che evidenzia l’importanza della sinergia con “numerose realtĂ del Terzo Settore, anche non strettamente legate alla Chiesa”. Oltre che l’impatto positivo sulla comunitĂ civile: “si è creato un buon clima di apertura e di accoglienza”, conferma Ciccone. “La paura – conclude – si è trasformata in apprezzamento per questi ragazzi che lavorano e guadagnano ciò che hanno”.