Pane (pasta) e libertà
Il racconto di suor Rosalia Caserta, referente del progetto a favore delle vittime della tratta.
di Stefania Careddu
Dopo un’esperienza in Sud America, suor Rosalia Caserta, Serva della Divina Provvidenza, torna a Catania decide riprendere uno dei servizi tipici del carisma della fondatrice e inizia a fare volontariato in carcere insieme ad una consorella. Sceglie di dedicarsi in particolare alle donne, spesso sole, abbandonate e bistrattate. Ed è lì, tra porte chiuse a doppia mandata e sbarre che filtrano la luce, che la religiosa entra in contatto con un mondo a lei sconosciuto: quello della tratta e della prostituzione, fatto di riscatti da pagare e debiti da saldare, di ‘madame’, di quartieri a luci rosse, di sofferenza, di sogni. E di volti, di sguardi, di storie. Come quella di una nigeriana di venti anni, finita in carcere appena maggiorenne dopo una retata seguita alla denuncia della sua ‘madame’ alla quale voleva ribellarsi e impossibilitata ad ottenere gli arresti domiciliari perché non aveva nessuno che avrebbe potuto garantire per lei. Suor Rosalia va a trovarla, tutte le settimane, sta con lei. La ragazza le scrive delle lettere, in inglese, e man mano inizia a fidarsi. Con pazienza e coraggio, la suora ne ottiene l’affidamento in Istituto per il periodo dei domiciliari e per quello del processo. Fino alla libertà. “È rimasta con noi – racconta suor Rosalia- per tanti anni, ha imparato la lingua, ha collaborato con noi ed è diventata una di famiglia. Poi è stata assunta e con il lavoro è iniziato il suo vero riscatto. Ha conosciuto un ragazzo siciliano, si è sposata e ha dei bimbi”. La ragazza non dimentica quello che le religiose hanno fatto per lei: “non ha mai smesso di fare del bene a tante altre giovani che si trovavano in difficoltà e ci ha aiutato a mantenere i contatti, a dare loro una mano, ad ospitarle, spesso in segreto”.
Comincia così l’impegno delle Suore Serve della Divina Provvidenza a favore delle vittime della tratta. Fin dalla sua fondazione, la Congregazione lavora nel campo della promozione umana per fornire “alle adolescenti e alle giovani donne degli strumenti spendibili in ambito lavorativo per poter diventare autosufficienti”. Poi, andando incontro alle esigenze del territorio, crea una comunità per ragazze madri, una piccola scuola, dei laboratori di falegnameria, ceramica, pasta fresca e sartoria. “Due anni fa, gli sbarchi di immigrati sulle nostre coste – spiega suor Rosalia – hanno permesso che i servizi sociali bussassero alle nostre porte. Abbiamo dato la disponibilità di alcune stanze dove accogliamo ragazze che hanno bisogno di protezione”.
Sono cambiati tempi e bisogni, ma “per consentire a queste donne di fare scelte libere bisogna renderle autonome, dare loro competenze”. Ecco allora che suor Rosalia e le sue consorelle decidono di puntare sul lavoro come strumento di riscatto: “abbiamo riscoperto la valenza positiva del lavoro manuale per creare un clima disteso, favorire il dialogo e l’ascolto, il confronto e lo sviluppo della creatività”.
Grazie al progetto “Semi di accoglienza”, finanziato con i fondi della Campagna Cei, venti ragazze frequentano corsi professionali nella sartoria e nel laboratorio di pasta fresca. A Natale i loro prodotti sono stati esposti e venduti nel corso di un evento che ha rappresentato una sorta di finestra sulla città. “Abbiamo lavorato sempre nella riservatezza e nel nascondimento, mentre ora cominciano a conoscerci”, sorride suor Rosalia sottolineando l’impatto positivo che il progetto ha sulla comunità locale. “È davvero un seme: dopo la presentazione di questa iniziativa, per mezzo del ‘tam tam’ si sono creati dei legami, delle collaborazioni, delle nuove amicizie”, commenta la religiosa per la quale tuttavia “occorre lavorare ancora molto sul fronte culturale, senza giudicare, ma aiutando a far conoscere e apprezzare persone che sono piene di valori e di creatività”. Del resto, osserva suor Rosalia, “se vuoi far sapere che il mondo straniero non è un pericolo, devi farne esperienza in prima persona e questo è quello che facciamo qui ogni giorno, lavorando sia per dare sicurezza, competenza, fiducia e sostegno alle ragazze così che possano integrarsi sia per eliminare la diffidenza della popolazione locale”.