Alleata di Dio, alleata dei popoli

I popoli costretti oggi all’esodo e all’esilio ci chiedono di avere gli occhi di Maria, esenti dal giudizio e pieni di compassione. Ne avremo il coraggio?

«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché… ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote»
(Lc 1,46-48.51-53).

 Una donna pronta al viaggio

L’itinerario di Maria di Nazaret è un percorso spirituale lungo il quale «il capolavoro della grazia di Dio» avanza di fede in fede ed è anche un cammino fisico che la vede non solo recettiva dinanzi all’opera dello Spirito che l’ha riempita di sé (Lc 1,26-38), ma anche propositiva e dinamica, investita in una serie di azioni e di interventi che registrano il suo peregrinare in vari luoghi: dalla parente Elisabetta (Lc 1,39-56), a Betlemme di Giuda per il censimento (Lc 2,1-21), nel tempio per presentare il bambino (Lc 2,22-38), in Egitto per custodirlo dai propositi di morte di Erode (Mt 2,13), a Gerusalemme per i pellegrinaggi annuali (Lc 2,41), a Cana per la festa di nozze di una coppia di sposi a lei cara (Gv 2,1-11), a Cafarnao con suo figlio e i discepoli (Gv 2,12), nei pressi di qualche casa dove suo figlio predica la Parola (Mt 12,46), sotto la Croce dove assiste e resiste al suo martirio (Gv 19,25-27), nella sala superiore (At 1,14) dove rinfocola la fede dei discepoli e attende con loro il dono promesso dal Figlio, quello stesso Spirito che ha realizzato in lei le nozze tra l’umanità e la divinità e che il Crocifisso Risorto vuole effondere su ogni carne.
Maria è protagonista con Dio della sua storia personale, ma anche della storia del discepolato in generale perché ha accolto la sua missione di madre del Figlio di Dio non sotto il segno di un privilegio che separa dagli altri, ma sotto il segno di un servizio che immette in un dinamismo di estrema vicinanza e prossimità agli altri. Dopo l’annuncio più sconvolgente della storia, Maria si comprende come «la serva del Signore» (Lc 1,38), come una donna cioè che non teme di assumere una missione che un tempo era riservata ai soli uomini, che sa essere partner e non intralcio, che sa di non essere chiamata a vivere per se stessa ma per Dio e la salvezza del popolo, che risponde a Dio non dandogli qualcosa di sé ma tutta la sua persona, spirito e corpo, energie e potenzialità.
Dopo aver ricevuto la divina Parola che le ha impregnato il cuore aprendolo totalmente alla potenza dello Spirito che ha reso gravido il suo grembo, la promessa sposa di Giuseppe, che è anche “la giovane promessa di Dio”, si alza e parte alla volta della montagna. Sale, come ogni chiamato, attratta da una forza che la mette in movimento e la spinge incontro agli altri come «messaggera di buone notizie» (Is 52,7). Vi è un segno che la attende in una casa che ha conosciuto le lacrime amare della sterilità e che ora assiste al lievitare di un grembo sul quale è stata posta la firma di Dio. Vi è una partitura da leggere in quel clima di rilettura sapienziale della vita che solo la comunione istaura, per intonare il canto che irradia la speranza della vittoria di Dio sulle storture e i limiti umani che sfigurano la storia.
Maria, evangelizzata, si fa evangelizzatrice. Riempita di Dio, comunica Dio ed esplode la festa. Il suo alzarsi, tipico di ogni evangelizzatore e di ogni evangelizzatrice, è descritto dall’evangelista Luca con il participio anástasa che ha a che fare con l’anástasis, la «risurrezione». Dove il Signore opera, infatti, la vita si manifesta in abbondanza perché egli è «la risurrezione e la vita» (Gv 11,25). Maria si alza e raggiunge Elisabetta per celebrare l’intervento del Dio onnipotente che porta la vita laddove l’uomo vede solo sbarramento e assenza di benedizione e per far pregustare la vita in pienezza che sgorgherà dalla risurrezione del Figlio.

Una donna che mette gli altri in movimento

Dopo essersi messa in movimento ed essere giunta a casa di Zaccaria, Maria inizia a mettere gli altri in movimento: la sua persona, che porta in sé la divina presenza, libera, mediante il semplice saluto, il contagio della gioia e il grembo di Elisabetta si attiva rendendosi sensibile al manifestarsi della gloria di Dio. Il bambino si muove: sussulta nel grembo di Elisabetta quasi in un primo moto profetico attraverso il quale riconosce il Signore, segno che davvero il Signore chiama ciascuno sin dal grembo materno (cf. Is 49,1; Ger 1,5).
Il dinamismo missionario che si è attivato in Maria si esprime come comunicazione di gioia in Elisabetta che viene colmata di Spirito Santo. Lo Spirito anima Elisabetta e la spinge alla benedizione. Colei che era stata considerata maledetta a causa della sua sterilità ora dispensa benedizioni su Maria e sul frutto del suo grembo, scorgendo, anche lei per una sorta di impulso profetico, la presenza del suo Signore nella carne di una donna: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!» (Lc 1,42). Benedicendo, Elisabetta si stupisce del regalo di quella visita inattesa e scopre che la felicità più grande sta nel fidarsi della parola di Dio, proprio come ha fatto Maria: «beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,45).
Alla benedizione e alla beatitudine pronunciate da Elisabetta, Maria non reagisce parlando di sé ma dando voce a un intero popolo, facendosi interprete di una comunità che ha ricevuto la visita del suo Signore e sa riconoscerla. La “benedetta” fa entrare tutto il popolo nella benedizione e la sua parola dà voce a tutti i “senza voce” della storia, al popolo “benedetto” che per mezzo di lei può narrare e trasmettere alle generazioni future gli interventi salvifici del Signore a favore degli uomini e delle donne più umiliati.
La vergine di Nazaret, madre del Figlio di Dio, è la nuova Maria, «la profetessa, sorella di Aronne», che accompagna con la musica del timpano e con il canto il passaggio danzante del popolo attraverso il mare verso la terra promessa (Es 15,20-21). Maria accompagna ora il passaggio del popolo verso una “terra” che non è un luogo ma un tempo, «l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,19), il giubileo della remissione dei debiti, dell’uscita dalla schiavitù verso la libertà gloriosa dei figli di Dio (cf. Rm 8,21) grazie alla venuta dell’Emmanuele, del Dio che non transita provvisoriamente sulla terra, ma fissa la sua tenda per essere il Dio-con-il-suo-popolo.
Maria canta e attinge a piene mani dal tesoro della memoria orante del suo popolo e rimette in movimento la storia dell’alleanza che non è una storia affidata al caso, ma storia sacra, provvidenzialmente accompagnata, che non è lettera morta, ma dinamismo dell’opera energica del Dio sempreverde.

Donna del popolo

Il canto di Maria si apre sulle note di una gratitudine infinita per quanto il Signore ha compiuto in lei, chinandosi sulla sua piccolezza, con un gesto che dice l’amore di predilezione di Dio verso il suo popolo Israele che il profeta Osea aveva già cantato (cf. Os 11,4). Attraverso il Magnificat, Maria sale per raggiungere il Dio grande che è sceso per primo per raggiungere lei, la Tuttapiccola. Maria celebra un Dio che non è statico, ma dinamico, che non abita un superattico nei cieli, ma vive nella storia, rivelando tramite azioni concrete la sua santità.
La qualità divina su cui la cantautrice di Nazaret si sofferma è la misericordia, corrente d’amore che soccorre e sommerge i credenti e scorre, al pari della vita, da una generazione all’altra, di padre in figlio, come flusso perenne che attraversa la storia per nutrirla e sanarla in tutti i suoi intrecci. Questa misericordia dice l’opera energica ed efficace del Dio d’Israele che non solo parla ma agisce, che ha bocca e parla, occhi e vede, orecchi e ascolta (cf. Sal 115,5-6). Quest’opera non ha nulla a che vedere con quella dei potenti della terra, ma è creazione nuova, opera inedita, non fatta da mani d’uomo. Dio opera capovolgendo le sorti della storia, mettendosi dalla parte degli ultimi, facendosi carico della cura delle “pietre scartate”.
Maria canta la passione calda e tenera di Dio verso gli umili e gli affamati e la sua sofferenza per il modo di agire dei superbi, dei potenti e dei ricchi, di tutte quelle categorie che coltivano una mentalità e uno stile non comunitari, non comunionali. Maria canta il “gusto” di Dio per gli stili umani che vincono sull’individualismo, per tutti quei dinamismi e processi che non allontanano dal corpo comunitario, ma contribuiscono ad edificare un popolo, per la sobrietà con cui il dolore e la privazione forgiano il cuore umano rendendolo più sensibile all’alleanza con Dio e alle relazioni con gli altri.
La vergine di Nazaret riconosce che il filo rosso della storia dell’alleanza è l’amore fedele e misericordioso di Dio con il quale egli vuole far crescere il popolo da lui eletto e consacrato per ossigenare la storia dell’umanità e da lui destinato a dilatare i suoi confini per vedere una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che è sulla spiaggia del mare (cf. Gen 15,5; 22,17).

Alleata delle donne

I Vangeli non ci presentano una Maria solitaria ma sempre in relazione. Prima dell’annunciazione è in alleanza con Giuseppe, dopo quell’evento la sua vicenda si intreccia con quella del bambino divino che porta in grembo, poi viene in contatto con Elisabetta e Zaccaria, Simeone ed Anna, i pastori, i magi, altri suoi familiari, gli sposi di Cana e i discepoli del figlio, in particolar modo Maria di Magdala e Giovanni.
Matteo e Luca, nei Racconti dell’Infanzia, collegano la figura di Maria a quella di altre donne. Luca presenta una triade al femminile: Maria la giovane che è vergine, Elisabetta la donna matura che è sterile e Anna l’ultraottuagenaria che è vedova. Si tratta di tre età diverse della vita e di tre stati diversi. Si tratta di donne segnate da condizioni di marginalità che però in forza della loro fede manifestano la grazia di una fecondità che porta avanti la storia: attraverso la grazia di generare il Precursore e il Messia le prime due, attraverso una maternità spirituale nei confronti dell’intero popolo l’ultima che vede compiersi nel bambino Gesù la promessa del Redentore. Matteo, come Luca, si apre alla contemplazione di un nuovo protagonismo delle donne nella storia sacra e inserisce nella sua genealogia, spazio che nel Primo Testamento era riservato ai soli padri, la presenza di cinque madri. Le prime quattro sono donne che non appartengono pienamente al popolo di Israele, che importano elementi allogeni ma che, attraverso la loro unione a membri del popolo ebraico e alla loro maternità, dilatano i confini della storia di Israele per effetto della loro generosità: Tamar, Rut, Betsabea, Racab. Queste donne, che generano attraverso unioni non proprio regolari, si coinvolgono nella storia del popolo eletto preparando la strada a Maria, figlia di Sion, donna fatta popolo, la cui esistenza diventa microcosmo della storia della salvezza del mondo.
Giovanni non ci parla mai di «Maria», ma della «madre di Gesù» e la colloca in due eventi ben precisi che segnano l’inizio e la fine del ministero di Gesù: a una festa di nozze (Gv 2,1-11) e sul Golgota (Gv 19,25-27). Cana e la Croce sono gli eventi “gloriosi” a cui è legato il dono del vino della nuova alleanza. Il vino che, per la compassione amorevole e l’intercessione piena di fede di Maria, Gesù procura agli sposi e agli invitati a Cana, mutando l’acqua in vino, è il segno di quel sangue e quell’acqua che sgorgano dal suo costato aperto e che inaugurano la vita nuova dei redenti. La donna fatta popolo si apre così a una maternità universale che attesta per davvero, come scrive Alda Merini, una verginità così materna da far confluire nelle sue braccia l’umanità intera.
A immagine di Maria, ogni donna è chiamata a generare vita intorno a sé e a ossigenare l’aria asfittica di certe pagine della nostra storia contemporanea. Ogni donna, come lei, è chiamata ad annunciare il vangelo del Dio amante della vita che nulla disprezza di quanto ha creato (cf. Sap 11,24), a vivere sinergie costruttive che spingano l’umanità oltre lo stallo dell’egoismo e rilancino la storia lungo le rotte della solidarietà. Ogni donna che guarda a Maria è chiamata a farsi popolo (e non solo quello da cui proviene!), è chiamata ad allearsi con il popolo più oppresso e con le donne la cui dignità è più calpestata, quelle private di protezione, dei propri sogni, del proprio amore, dei propri figli o dei propri genitori, e della possibilità di vivere un amore sano e fecondo. I popoli costretti oggi all’esodo e all’esilio ci chiedono di avere gli occhi di Maria, esenti dal giudizio e pieni di compassione. Avremo il coraggio di impetrare da lei questa grazia?