Come Maria

Come Maria

Dopo il Covid-19, "sboccerà una nuova umanità pronta a riscoprire il grande valore della fratellanza e a vivere con maggior consapevolezza il valore della dimensione umana, sociale ed ecclesiale", dice suor Eugenia Bonetti, presidente di “Slaves no More”.

di suor Eugenia Bonetti, presidente di “Slaves no More”

La bufera è passata… Adesso si ricomincia. I tre mesi appena trascorsi sono stati per gli italiani, ma anche per i cittadini del mondo intero, mesi di paura, di angoscia, di solitudine. Il Covid-19, infatti, ci ha costretti ad un blocco totale delle attività, delle relazioni, della circolazione delle persone.

Il coronavirus ha rivoluzionato completamente il nostro mondo: lo ha distanziato, ha reso le persone più diffidenti le une dalle altre, ha facilitato l’innalzamento, da un giorno all’altro, di barriere, muri, confini, frontiere. Il virus non si è fermato. Anzi, ha continuato la sua corsa implacabile, mietendo migliaia di vittime in tutto il mondo. Questo blocco, che ci è stato imposto, ci ha costretti a pensare e a riflettere su ciò che è successo, sullo stato della nostra società e, per la prima volta, ci siamo accorti che combattevamo tutti dalla stessa parte, per raggiungere lo stesso obiettivo. Uniti, ci siamo rafforzati e abbiamo messo in campo tutto ciò che poteva aiutarci per sentirci più vicini, per creare forza, alleanze e reti.

Passavano immagini alla TV di un mondo, il nostro mondo, prima frenetico e sempre in movimento, completamente deserto, fermo: luoghi che fino a pochi giorni prima erano presi di mira da moltitudini di turisti, tutto l’anno, erano vuoti, silenziosi, immobili; strade sgombre da qualsiasi mezzo, esercizi commerciali ed uffici chiusi. E noi tutti costretti nelle nostre case che sono diventate i nostri uffici, i nostri luoghi di incontro e socializzazione, i nostri spazi di culto, oltre che scudi per proteggerci e per proteggere le nostre famiglie.

Questo periodo di isolamento completo, la presenza dilagante e distruttiva del Covid-19, l’incapacità mondiale di fronteggiare un tale avvenimento, gli errori pagati dalla gente comune, l’incertezza sui comportamenti da tenere, ci hanno messo di fronte a noi stessi ed alla necessità di far cadere le nostre maschere di sicurezza e di autodifesa. Maschere che ci permettevano di non assumerci le nostre responsabilità, di non vedere e sapere, di essere indifferenti davanti a tutto quello che accadeva con la scusa di non esserne parte. Ci siamo accorti, proprio in questo momento, della nostra debolezza, non più conquistatori e dominatori del mondo intero, ma semplici esseri umani, finiti, indifesi e deboli davanti ad un virus invisibile, ma con la potenza distruttrice di un esercito.

Come non ricordare con ammirazione e riconoscenza quel grande esercito di medici, ed infermieri che si muovevano rapidamente tra terapie intensive, letti e barelle che hanno riempito tutti gli spazi ospedalieri per offrire aiuto a migliaia di persone nel tentativo di salvare vite umane. Purtroppo l’aggressività del virus non ha mancato di mietere le proprie vittime anche tra chi cercava si salvare la vita di altre persone.

Periodo di pandemia, questo, che possiamo definire una lunga “Settimana Santa”, durante la quale abbiamo assistito alla morte in croce di tanti fratelli e sorelle indifesi, che ci lasciavano in solitudine senza la presenza dei loro cari. Che impressione il vedere quella lunga fila di camion dei militari che trasportavano nei vari cimiteri casse con i defunti in attesa della cremazione!

Ora tutto cerca di tornare alla normalità: i bambini giocano in strada o vanno a passeggio con mamma e papà, le attività cercano di riaprire e le persone timidamente ricominciano ad uscire di casa, reinventando modi per stare insieme, per lavorare e per convivere con quel virus che ancora non capiamo, che non ci piace, ma è presente. Le strade e le piazze ricominciano ad essere chiassose e quel silenzio surreale svanisce lasciando spazio a mezzi rumorosi, donne e uomini che riprendono possesso degli spazi comuni.

Pur con un dolore profondo per la morte di migliaia di persone e con riconoscenza verso i tanti “samaritani”, che si sono chinati con amore e dedizione per lenire le sofferenze di coloro che sono guariti, la nostra vicinanza va a quanti stanno ancora vivendo il loro “venerdì santo”. Come Maria rimasta sotto la croce di suo Figlio, che stava morendo in solitudine, possa la nostra società, ferita e derubata di tanti membri della famiglia umana, ritrovare la forza per uscire da questa esperienza di sofferenza, di distacco e di morte, certi che in ciascuno di noi, come nell’intera società, sboccerà una nuova umanità pronta a riscoprire il grande valore della fratellanza e a vivere con maggior consapevolezza il valore della dimensione umana, sociale ed ecclesiale.