Comprendere la complessità
Di fronte alla sfida delle migrazioni, non ci sono soluzioni semplici. Bisogna conoscere, approfondire e non scadere in banali semplificazioni.
La questione migratoria è oggetto di speculazioni giornalistiche che spesso confondono l’opinione pubblica. Ciò è determinato da un errore lessicale causato dall’utilizzo improprio di due aggettivi. Le parole in questione sono “complicato” e “complesso” che vengono considerate, nel linguaggio scritto e in quello parlato, come se fossero sinonimi. Nel primo caso, quando qualcosa risulta essere “complicato”, si tratta di una questione, almeno in linea di principio, risolvibile. Il termine deriva dal latino “cum + plicare” e significa letteralmente “con pieghe”. Di conseguenza, può essere “spiegato”, identificandone le varie parti, ciascuna riconoscibile. Sì, quasi fossimo di fronte ad una pila di documenti piegati su una scrivania che, uno alla volta, possono essere “dispiegati” per leggerne il contenuto specifico e dunque renderlo intelligibile. Altro esempio per capire meglio. Immaginiamo di avere tra le mani un libro e di cominciare a leggerlo, sfogliandolo con calma per poterne assimilare il contenuto. Ammesso pure che si tratti di un saggio ostico, con l’aiuto di un tutor sarà sempre comunque possibile arrivare fino all’ultimo capitolo per capirne il messaggio che intendeva veicolare l’autore. Al contrario, il termine “complesso” deriva dal latino da “cum + plectere”, che significa letteralmente, “con intrecci”, sottintendendo l’estrema difficoltà, se non addirittura persino l’impossibilità, a individuare le modalità per scioglierlo. In determinate situazioni, ad esempio, le condizioni morbose di un paziente in ospedale, possono essere determinate da più malattie, diverse tra loro, non solo sono compresenti, ma tendenti ad interagire tra loro in modo non agevolmente valutabile. L’equivoco di fondo, nella nostra società e spesso nelle nostre stesse comunità cristiane, sta proprio nel fatto che affrontiamo i problemi come se fossero “complicati”, cioè risolvibili in modo a sé stante, mentre invece sono “complessi”. Sta di fatto che questo equivoco è deleterio e genera una palese distorsione della realtà facendo credere alla gente che dopotutto la soluzione ai problemi, nella fattispecie legati alle migrazioni, sono semplici.
A tale proposito è utile riflettere sulla comune origine filologica che accomuna i due termini in questione, ovvero la radice indoeuropea: “plek”. Da questa parolina deriva in latino il verbo “plicare” (piegare); il verbo “plectere” (intrecciare), il suffisso “plex” (parte) e la parola “sine plex” da cui proviene nella nostra lingua italiana la parola “semplice”. La vera sfida, dunque, nel nostro tempo, quello della globalizzazione, consiste nel comprendere la complessità di tutto, senza scadere in banali semplificazioni. Per affrontare correttamente un fenomeno complesso, occorre conoscerlo nei dettagli, negli effetti, nelle cause e non solo come semplice analisi delle parti, perché il risultato finale non è la semplice somma delle componenti. Questo, in sostanza, significa, guardando alla mobilità umana, che questa, se opportunamente valutata, non può prescindere dalle cause che la generano (guerre, sfruttamento delle risorse da parte delle multinazionali, povertà…) e dalle difficoltà sociali, politiche, legislative ed economiche dei Paesi di accoglienza. Tutti questi fattori, interagiscono tra loro, a volte rendendo la matassa estremamente intricata e di difficile soluzione. Ecco che allora le risposte, di fronte alla sfida della complessità, non possono prescindere dalla raccolta di più informazioni possibili che consentano, col tempo, di tracciare dei percorsi risolutivi che, in gergo tecnico, si chiamano “Road maps”. E allora scopriremmo che vi sono sempre e comunque delle opportunità dalla forte valenza positiva.
Papa Francesco, in rifermento alle migrazioni ne ha disegnata una che troviamo nel recente messaggio per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato dal titolo “Accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e i rifugiati”. Nel testo si trovano le diverse azioni che scaturiscono dalla declinazione dei 4 verbi indicando così il percorso socio-politico-culturale-religioso da seguire; una risposta davvero perspicace alle sfide che le migrazioni contemporanee pongono.
Anzitutto “Accogliere – scrive il papa – che significa innanzitutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione”, auspicando “un impegno concreto affinché sia incrementata e semplificata la concessione di visti umanitari e per il ricongiungimento familiare”, ma anche programmi di sponsorship, l’apertura di corridoi umanitari per i rifugiati più vulnerabili.
Vi è poi il verbo Proteggere, che per il papa si declina in tutta una serie di azioni in difesa dei diritti e della dignità di migranti e rifugiati “indipendentemente dal loro status migratorio”. L’auspicio di Francesco è che vengano “concessi la libertà di movimento nel paese d’accoglienza, la possibilità di lavorare e l’accesso ai mezzi di telecomunicazione”.
Vi sono anche alcune delle buone prassi in cui può essere esplicitato il verbo Promuovere: ad esempio, l’inserimento socio-lavorativo dei migranti e rifugiati, la cura della dimensione religiosa, l’attenzione a coloro che vivono situazioni di disabilità e la promozione del ricongiungimento familiare “senza mai farlo dipendere da requisiti economici”. L’ultimo verbo nella lista è Integrare che, ricorda Francesco citando Papa Giovanni Paolo II, non è “assimilazione che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale. Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprirne il ‘segreto’, ad aprirsi a lui per accoglierne gli aspetti validi e contribuire così ad una maggior conoscenza reciproca”. Papa Francesco conclude dichiarando la disponibilità della Chiesa a “impegnarsi in prima persona” per realizzare tutte le iniziative proposte, ma avverte “per ottenere i risultati sperati è indispensabile il contributo della comunità politica e della società civile, ciascuno secondo le responsabilità proprie”. D’altronde, a pensarci bene, la stessa missione evangelizzatrice realizzata dalla Chiesa, proprio perché influisce con la condizione esistenziale dell’umanità (spirituale, sociale, politica, economica…), a tutte le latitudini, è un fenomeno complesso riconducibile al ragionamento di partenza. Per questi motivi occorre essere soggetti pensanti, operando un sano discernimento sulle questioni da affrontare, se vogliamo, come credenti, segnare la svolta, quella dell’agognato cambiamento. E il tempo pasquale, guardando alla Pentecoste, è il momento giusto!