La terapia del Risorto

Siamo chiamati a promuovere i fratelli e le sorelle, specie quelli più in difficoltà, accompagnandoli con parole di verità e con gesti che li sollevino dalla loro miseria e li riaprano alla speranza.

Appena scesi a terra, [i discepoli] videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore»
(Gv 21,9-17).

 Un discepolato multiforme

Il quarto Vangelo consegna ai suoi lettori un gran numero di personaggi in una sorta di campionario di tutte le risposte umane possibili dinanzi alla manifestazione del Verbo di Dio. Questo spazio della libertà umana di rifiutare o accogliere la «luce vera venuta nel mondo a illuminare ogni uomo» viene annunciato già nel Prologo poetico del Vangelo: «Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto…» (Gv 1,11-12). L’irruzione del Verbo fatto carne nella storia intercetta la libertà del cuore umano che può chiudersi a questo evento oppure aprirsi e dargli ospitalità. Si passa così dall’incredulità dei Giudei (che gradualmente approda all’odio omicida) alla fede del cieco nato, dalle titubanze di rabbi Nicodemo (che sembra quasi sparire con un effetto di dissolvenza dopo l’incontro notturno con Gesù) alla prontezza propria di chi lo accoglie e crede in lui, come nel caso degli amici di Gesù Marta, Maria e Lazzaro.
Anche i discepoli incarnano risposte differenti alle parole e agli inviti di Gesù. All’inizio credono in lui e lo seguono, ma poi, di fronte all’entità di alcune sue parole, specie nel discorso eucaristico del capitolo 6, abbandonano il cammino della sequela. Restano con Gesù solo i Dodici, i più intimi, che però, pur sapendo che il loro Maestro ha «parole di vita eterna» (Gv 6,68), vivono anch’essi una fede altalenante. Tra loro spiccano il «discepolo che Gesù ama», figura emblematica del quarto Vangelo che mostra una fede esemplare, e Simon Pietro, figura che invece mostra il travaglio del discepolato e la complessità dell’apprendistato della sequela Christi.
Per Giovanni il discepolato è un incontro con il Signore riconosciuto nella sua unicità, è esperienza di un contatto che ha per conseguenza la scoperta di un habitat tutto speciale: «dimorare con/in Cristo» (cf. Gv 1,38-39). L’ingresso in questo habitat genera poi la condivisione della propria esperienza attraverso il racconto dell’incontro e la testimonianza circa la relazione trasformante con un Maestro davvero unico.
Il dinamismo del discepolato attraversa l’intero Vangelo tanto da apparire anche nel racconto della passione. Ad esempio, la lavanda dei piedi è un gesto pedagogico che Gesù consegna ai suoi discepoli perché sappiano imitarlo, e l’ultima preghiera di Gesù, riportata nel capitolo 17, è un’invocazione al Padre proprio per i discepoli. Inoltre, diversamente dai sinottici, i discepoli non fuggono né si disperdono; anzi, ai piedi della Croce, assieme alla Madre di Gesù e alle donne, troviamo il discepolo amato (cf. Gv 19,26). Nell’«ora» di Gesù il quarto Vangelo mostra come le parole con cui egli consegna il discepolo alla Madre e la Madre al discepolo aiutano lo sguardo dei lettori a volgersi al futuro, garantendo la continuità tra la vicenda terrena di Gesù e il tempo della Chiesa. Nei racconti di risurrezione, infine, l’evangelista Giovanni descrive ancora il percorso del discepolato, specie per uno dei Dodici, Simon Pietro.

Sulla sponda del mare di Tiberiade

Dopo gli eventi dolorosi della passione, i discepoli non si disperdono, ma restano insieme, malgrado incomba su di loro la minaccia della cattura e della morte e si nascondano per timore dei Giudei. Quel loro rimanere insieme attira la presenza del Risorto che si manifesta loro e consegna il suo soffio di vita, lo Spirito Santo, che ha il potere di rimettere i peccati, di renderli collaboratori con la grazia nel riconciliare i cuori con il Padre (cf. Gv 20,19-23). Poi, però, dopo una seconda visita in cui il Risorto si prende cura di Tommaso per farlo passare dal dubbio alla fede (cf. Gv 20,26-29), i discepoli di Gesù si trasferiscono in un luogo, il mare di Tiberiade, che, diversamente da Luca, per Giovanni non è la cornice della chiamata. Nel capitolo 21 appare così un racconto (Gv 21,1-23) che unisce due episodi originariamente distinti: una pesca sovrabbondante (cf. Lc 5,4-10) e un pasto post-pasquale (cf. Lc 24,41-43), che il v. 10 cerca in qualche modo di collegare.

Dal vuoto alla pienezza

Il primo discepolo che entra in scena è Simon Pietro che dà il via all’azione, rendendo nota la sua iniziativa: «Io vado a pescare» (Gv 21,3). Pensando alla chiamata di Pietro nei Sinottici verrebbe da pensare che ci sia un regresso. Il Maestro aveva fatto udire la sua voce energica che chiamando aveva estratto i suoi dalle condizioni di un tempo. Pietro aveva lasciato le reti per occuparsi non più di pesca, ma di persone da evangelizzare. Tutti lo seguono nella sua impresa, che però si rivela un disastro: «quella notte non presero nulla». La notte quindi è segnata dall’improduttività, ma segue l’alba e accade un incontro. Gesù si avvicina ai suoi che non lo riconoscono. Chiede se hanno qualcosa da mangiare e dinanzi alla loro carenza interviene con una parola di comando: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete» (Gv 21,6). L’obbedienza a quella parola sortisce un effetto straordinario: l’abbondanza. Il discepolo amato vede subito in essa la “firma” del Maestro: «È il Signore!». Non sono più gli occhi del corpo a vedere, ma quelli del cuore che ri-conoscono il Signore dai segni del suo passaggio, dallo stile del suo agire.
Al rientro dalle operazioni della pesca, i discepoli trovano un fuoco di brace con del pesce sopra e del pane. È il barbecue del Risorto! Il Signore si è dedicato alla preparazione di un pasto per i suoi discepoli e li invita a mangiare. È interessante osservare la cura con cui il Signore si fa accanto ai suoi discepoli, rivitalizza la loro fede nella sua Parola e si occupa della loro vita nutrendoli: «venite a mangiare» (Gv 21,12). Dopo il pasto, il Risorto cerca Simon Pietro, protagonista di diverse scene del quarto Vangelo, e che qui vede la conclusione di un itinerario assai personale articolato in sette atti: la chiamata in Gv 1,42; il suo primo intervento dopo il discorso di Gesù sul pane vivo in 6,68b-69; i suoi tre interventi durante l’ultima cena in 13,1-38 (in 13,1-12 nel contesto della lavanda dei piedi; in 13,20-27 dove rivolge a Gesù la domanda sull’identità del traditore; in 13,36-38 dove promette di dare la vita per Gesù); l’aggressione a Malco, servo del sommo sacerdote, in 18,10-11; il rinnegamento di Gesù (18,15-25); l’episodio della visita alla tomba vuota con Maria di Magdala e l’altro discepolo (20,1-10) e infine l’incontro con il Risorto sulla riva al lago (21,1-23).

Oltre le paure

Lo zoom che il quarto Vangelo fa su Simon Pietro rivela il lavorio interiore che accade in ogni uomo o donna che incontra il Signore e desidera seguirlo: da un lato prevale la fascinazione della divina bellezza che seduce e attrae mettendo le ali al cuore e facendo decollare la vita, dall’altro insorgono le più svariate resistenze e fatiche interiori ed emerge il bisogno continuo di lasciarsi plasmare da Dio per raggiungere la forma piena della propria chiamata, la vocazione più autentica. In Pietro inoltre si vede in modo paradigmatico l’agire pedagogico di Dio che punta alla sua crescita personale e alla maturazione della sua fede. Il discepolato, infatti, è cammino di crescita anche dell’umano, perché l’umano non è altro dallo spirituale, ma è la verità della “terra” che siamo, terra che, se accoglie il seme di Dio, può germogliare e portare molto frutto.
La missione del Risorto nei confronti di Simon Pietro è quella di intercettare le sorgenti intime della sua adesione al cammino di discepolato e di risvegliarle, aprendole all’effusione dello Spirito Santo che egli ha riversato nel suo cuore comunicandogli la vita nuova. L’intento dell’accompagnamento spirituale di Gesù al suo discepolo è consegnargli una grande missione aiutandolo a non sentirsi né superiore agli altri, né schiacciato dal peso che essa comporta, aiutandolo a coltivare una lettura sapienziale della verità del proprio cuore per aiutarlo ad andare oltre la sua emotività e i suoi limiti e a dare spazio all’azione dello Spirito. Dinamico nella sequela, pronto nella risposta, impulsivo e sanguigno nel parlare e nell’agire, Simone mostra la tensione tra il desiderio di perdere la vita e la tendenza a volerla difendere e preservare, rivela la lotta tra lo scandalo di un Maestro che si fa servo e lava i piedi ai suoi e la follia di un bene grande che egli prova nei suoi confronti tanto che vorrebbe spingersi addirittura a dare la vita per lui. Ma nella storia della sua sequela si è registrato un black-out, una disconnessione, un corto circuito che ha impedito all’operazione della sequela di giungere a buon fine. Sotto la Croce Pietro manca all’appello…
La notte della consegna del Maestro la paura era stata troppa e aveva provocato il deragliamento. La paura destabilizza e fa perdere la memoria, l’amnesia poi recide dalla rete delle relazioni più significative. Simone si era separato da Gesù, negando di essere suo discepolo (cf. Gv 18,17.25-27) e così facendo si era allontanato anche dagli altri discepoli, condannandosi alla solitudine del peccato, alla tenebra.

Il Risorto che accompagna e promuove la crescita del discepolo

Per tre volte Pietro ha negato la relazione di alleanza con il suo maestro ed ecco che Gesù per tre volte gli parla di amore e lo interpella: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami (verbo agapáo) più di costoro?», «mi ami (verbo agapáo)?», «mi vuoi bene (verbo philéo)?». Una serie di interrogativi che non servono di Gesù, ma a Pietro che sembra contrariato da quella triplice domanda. Non percepisce ancora la strategia terapeutica che il Risorto ha messo in atto per guarire il suo cuore. Si addolora, ma poi comprende che con il suo Signore non c’è nulla da poter nascondere. Lui sa davvero «quello che c’è nell’uomo» (Gv 2,25), per questo risponde: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene (verbo philéo)».
La risposta del discepolo alla domanda del Maestro è la spinta che può far ripartire il cammino. L’amore di Pietro non è ancora maturo per dare la vita (non è agape), è l’amore di chi vuole rispondere all’amore (philia) ma sa che deve ancora crescere, comprendere, avanzare, superarsi. A Gesù questo non fa problema. È questo amore il punto di partenza del presbiterato o della maturità cristiana, quella tappa del discepolato che può evolvere nell’agape, nel dono di sé, nel martirio.
Pietro impara così che l’amore non è un punto di partenza, ma la meta. La domanda sull’amore che Gesù rivolge a Pietro allora diventa pedagogia che conduce il discepolo alla verità di sé, alla sua fragilità che il Risorto non umilia ma nobilita grandemente, alla sua povertà che da disfatta si muta in riconoscimento, promozione e consegna di una fiducia illimitata: «Pasci le mie pecore» (Gv 21,15.16.17). Qui inizia il cammino di Pietro, il cammino dell’uomo nuovo, forgiato dallo Spirito che può fare della sua vita un dono per molti.
A immagine del Risorto, anche noi siamo chiamati a promuovere i fratelli e le sorelle, specie quelli più in difficoltà, accompagnandoli con parole di verità e con gesti che li sollevino dalla loro miseria, li riaprano alla speranza e li immettano in una comprensione più ampia del tesoro che portano. Siamo pronti a impregnare della Pasqua di Cristo quella parte di mondo nella quale ci muoviamo e trattare teneramente quell’umanità che in essa respira?