Esseri umani

Esseri umani

In Italia e in Europa “si sta diffondendo un clima di ostilità e di xenofobia, frutto di una propaganda continua, delle condizioni di disagio in cui una parte della popolazione si trova e soprattutto di una cattiva accoglienza”. Intervista a don Giovanni de Robertis, direttore della Fondazione Migrantes.

Fino a quando “non ci renderemo conto del valore di ogni essere umano, purtroppo continueremo a lasciare queste persone morire oppure in condizioni disumane, come quelle in cui vivono in tanti campi profughi o in Libia”. La denuncia arriva da don Giovanni De Robertis, direttore della Fondazione Migrantes, per il quale la questione delle migrazioni dovrebbe essere affrontata insieme dall’Europa e dalle Nazioni Unite.

I migranti non sono numeri, ma persone. Papa Francesco ha voluto ribadirlo nei giorni scorsi in un messaggio ai partecipanti al “Colloquio Santa Sede-Messico sulla migrazione internazionale” proprio mentre in Europa si tornava a parlare di quote e di accordi. Si tratta di due visioni inconciliabili?
Non sono completamente differenti. Caritas e Migrantes ogni anno, da 26 anni, pubblicano il Rapporto immigrazione proprio per dare i numeri e non parlare per luoghi comuni o per stereotipi. Qualche giorno fa, una signora ha chiamato in diretta una trasmissione radiofonica ed era molto agitata perché aveva provato a sovrapporre l’Italia all’Africa e si era resa conto che era impossibile che tutta l’Africa potesse entrare in Italia. Le ho ricordato che, stando alle cifre, da tre anni il numero di immigrati è sostanzialmente stabile. Anzi, a causa della crisi, stanno andando via anche tantissimi giovani italiani e gli stessi stranieri stanno prendendo nuovamente la via dell’immigrazione.
Qualche anno fa, però, il Rapporto fu intitolato “Non solo numeri” proprio per  ricordarci che non si tratta di patate o di noccioline, ma di esseri umani. Fino a quando non ci renderemo conto del valore di ogni essere umano, purtroppo continueremo a lasciare queste persone morire oppure in condizioni disumane, come quelle in cui vivono in tanti campi profughi o in Libia.
In una delle scene finali di uno dei film che più mi ha impressionato, Schindler’s List di Spielberg,  Schindler piange a dirotto pensando a quanti soldi ha sprecato e che avrebbe potuto invece usare per riscattare altri ebrei – tanti ne aveva salvati – e il suo capo cerca di consolarlo con questo bellissimo proverbio cassidico: “chi salva una sola vita umana ha salvato l’universo intero”. Ecco, dobbiamo riscoprire che si tratta di esseri umani e che una sola di queste vite vale più di tanti dei nostri soldi. E questo è quello che il Papa ha voluto ricordarci. Se noi non prendiamo coscienza di questo, non potremmo mai affrontare nel mondo giusto il fenomeno delle migrazioni.

Cosa ha dimostrato il caso della nave Aquarius, accolta in Spagna dopo il ‘no’ di Malta e Italia?
Abbiamo bisogno di tempo per comprendere a cosa porterà questo gesto, se si tratta di un gesto isolato. Sicuramente richiama la giusta rivendicazione che la realtà delle migrazioni venga affrontata dall’Europa in modo solidale. È un problema che dovrebbe vedere le Nazioni Unite presenti perché non solo il Mediterraneo è luogo di migrazione e di morte, ma ad esempio anche il confine tra il Messico e gli Stati Uniti, dove ci sono persone imprigionate e bambini lasciati soli.
Quanto all’Aquarius, mi ha colpito il fatto che quelli che erano al centro di questa vicenda, cioè le 630 persone, sembravano scomparse. Si discuteva se avesse ragione la Francia, sulla sua ipocrisia, sull’Italia, ma quasi nessuno si è messo a guardare a ad ascoltare attentamente queste persone.
Il primo a sbarcare dalla nave, a Valencia, ha abbassato la maglietta: aveva le cicatrici delle sigarette spente sulla spalla, mentre il secondo zoppicava vistosamente. Questo ci dice qualcosa su quello che devono aver vissuto, come quelle donne incinte chissà di chi e come. Mi ha fatto male al cuore vedere, accanto a tanti che erano andati a dare la loro solidarietà, altri con lo striscione “non vogliamo i migranti, andatevene”. Bisognerebbe prima guardare negli occhi, ascoltare queste persone che sono esseri umani come noi.

Secondo un recente sondaggio, sei italiani su dieci approvano la linea dura del ministro degli Interni, Matteo Salvini, riguardo alla chiusura dei porti. Che segnale è?
Purtroppo già ce lo diceva il Santo Padre a settembre scorso: in Italia e in Europa si sta diffondendo un clima di ostilità e di xenofobia, frutto certamente di una propaganda continua, delle condizioni di disagio in cui una parte della popolazione si trova e soprattutto della cattiva accoglienza, del fatto che queste persone, una volta che mettono piede nel nostro Paese, molto spesso vengono abbandonate  a se stesse, lasciate senza sapere dove andare e che fare, diventando così manovalanza  della criminalità. Credo che questa cattiva accoglienza sia la causa di quello a cui stiamo assistendo. Gran parte degli immigrati viene parcheggiata in grandi centri, l’87 per cento dei richiedenti asilo, i minori non accompagnati, compiuti i 18 anni, non sanno più dove andare. Per il migrante che arriva in Italia cioè è un terno a lotto sapere se potrà o no costruirsi un futuro.

Grazie alla Campagna “Liberi di partire, liberi di restare” anche in varie diocesi italiane si stanno realizzando progetti di sensibilizzazione, integrazione e accoglienza. Cosa significa questo per le chiese e le comunità locali?
Non riesco ad essere pessimista: girando l’Italia, in tutte le città, vedo ovunque esperienze bellissime di fraternità e di integrazione. Sono stato recentemente a Castel Volturno, una delle zone  più abbandonate, dove vivono migliaia di africani e dove purtroppo c’è spaccio, prostituzione. Eppure, al “Centro Fernandes”, finanziato con i fondi dell’8xmille, rinasce la speranza per queste persone. Mi sono trovato lì nel giorno in cui consegnavano i diplomi della scuola di alfabetizzazione di italiano: c’erano uomini, donne, ragazzi fieri di questo. C’è anche ambulatorio e ora si vuole aprire un centro universitario per giovani italiani e stranieri che non hanno possibilità ma vorrebbero continuare a studiare. Questo è il segnale che il caporalato, lo sfruttamento, l’illegalità non sono l’unico destino possibile, ma è possibile un altro futuro.
C’è chi proclama a parole di voler stabilire la legalità, ma ci sono tante persone – e la Chiesa è tra queste – che quotidianamente lavorano per creare un Paese più sicuro e più solidale.

Secondo il Report del Bilancio demografico nazionale Istat, i flussi migratori dall’estero negli ultimi 30 anni hanno contribuito all’incremento della popolazione residente nel nostro Paese, “controbilanciando la perdita dovuta al saldo naturale negativo e contribuendo a un ringiovanimento della popolazione”. Eppure di migrazione si parla soprattutto in termini emergenziali e negativi. Perché e cosa bisogna fare?
Questo è dovuto alla realtà innegabile che vediamo nelle nostre città e che non è imputabile agli immigrati, ma allo Stato che finanzia i diversi Cas, Cara e cooperative che a volte rubano. Perché non si affidano i migranti a tante associazioni che gratuitamente offrono la loro disponibilità? In Italia tanti Sprar ospitano al di sotto della loro capienza perché non vengono loro assegnate le persone. Si accusano le associazioni di lucrare, ma sono  spesso le istituzioni che hanno affidato i migranti a quelle associazioni corrotte. I migranti non sono gli artefici, ma le vittime di questo sistema.
Sulla questione natalità: non sono i migranti che possono ripopolare l’Italia, ma dobbiamo chiederci perché gli italiani non generano figli e non si sposano. Nel 2017 abbiamo toccato il minimo di nascite dall’Unità d’Italia. Ci sono fattori economici, di insicurezza, ma anche fattori culturali, di un ripiegamento su noi stessi, di un’incapacità di donarci e questo tipo di cultura che mette al centro noi stessi non porta la felicità.