Gesti piccoli, ma concreti

Gesti piccoli, ma concreti

“Il nostro compito è di offrire stimoli preziosi, per avviare percorsi di incontro e di condivisione nel contesto attuale, caratterizzato dalla emergenza Coronavirus che si aggiunge alla ancora non risolta crisi socio-economica mondiale", sottolinea don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana.

“Il nostro compito è di offrire stimoli preziosi, per avviare percorsi di incontro e di condivisione nel contesto attuale, caratterizzato dalla emergenza coronavirus che si aggiunge alla ancora non risolta crisi socio-economica mondiale e a radicali fenomeni di trasformazione che incidono sul costume e sulla vita delle persone provocando sempre più smarrimenti, chiusure, individualismi ed esclusioni”. Lo spiega don Francesco Soddu, direttore di Caritas Italiana, per il quale “le comunità crescono solo se cresce e si propaga uno stile di vita che non rafforza strutture di peccato, ma sceglie alternative nella logica dell’interesse e del bene comuni”.

Quest’anno la Quaresima è iniziata in modo un po’ particolare, a causa dell’emergenza Coronavirus. Quale è il messaggio che comunque arriva da questo tempo forte per i cristiani?
La Quaresima è un momento di verità in cui ci rendiamo consapevoli dell’amore di Dio che viene a cercarci proprio negli angoli più brutti. Nonostante la presenza del male nella nostra vita, come in quella della Chiesa e del mondo, Dio continua ad amarci e a darci occasioni per invertire la rotta. “La condivisione nella carità – come afferma papa Francesco nel Messaggio di Quaresima – rende l’uomo più umano”. Un invito dunque a convertirci, uscire dagli egoismi, dando così il nostro contributo alla costruzione di un mondo più equo, con sempre meno zone d’ombra. “È il tempo – ha sottolineato il Papa in occasione del Mercoledì delle Ceneri- per dedicarsi a una sana ecologia del cuore, fare pulizia lì”. Tutto questo interessandoci dei grandi problemi strutturali che generano iniquità, ma anche a partire da azioni e gesti quotidiani che possono generare cambiamenti significativi.

Nel Messaggio per la Quaresima, il Papa invita a sentire compassione per le “piaghe di Cristo crocifisso” presenti nelle “vittime innocenti delle guerre”, “dei soprusi contro la vita”, dal nascituro fino all’anziano, della violenza, dei disastri ambientali, del traffico di esseri umani. Eppure, anche la cronaca di questi giorni mostra quanto sia difficile condividere e non chiudersi…
Certo, condividere impone una conversione, e questo è impegnativo. Ed è appunto questa la missione della Chiesa, ossia di essere “animativa” delle comunità, affinché in esse non venga mai a mancare la condivisione. Una sfida innanzitutto educativa e culturale per riqualificare la relazione in termini di alterità, dono e responsabilità, e poi certo anche politica. Un impegno che deve partire dal volto degli impoveriti e da attenzioni concrete nei loro confronti. A che serve, ad esempio, ripetere che i conflitti causano fame e malnutrizione, se poi concretamente non si compiono tutti gli sforzi per la pace e il disarmo?” La sfida dunque è rimettere al centro le relazioni tra le persone, fondandole sul riconoscimento della dignità umana come codice assoluto, e che richiama ad una responsabilità, diretta e indiretta, nella cura di tali relazioni che dal micro, dagli stili di vita di ognuno di noi, deve allargarsi al macro. Abbiamo l’obbligo morale di conoscere le miserie del nostro tempo; aprire cioè gli occhi su ciò che accade nei nostri territori e intervenire con l’amore ricevuto da Dio. È così che la misericordia diventa operosa e si trasforma in impegno e in responsabilità. Il Papa a Firenze, invitandoci a essere chiesa inquieta, vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti, ha detto: “desidero una chiesa lieta col volto di mamma che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà”. Ecco allora che il nostro compito è di offrire stimoli preziosi, per avviare percorsi di incontro e di condivisione nel contesto attuale, caratterizzato dalla emergenza Coronavirus che si aggiunge alla ancora non risolta crisi socio-economica mondiale e a radicali fenomeni di trasformazione e cambiamento che incidono sul costume e sulla vita delle persone provocando sempre più smarrimenti, chiusure, individualismi ed esclusioni. Le comunità infatti crescono solo se cresce e si propaga uno stile di vita che non rafforza strutture di peccato, ma sceglie alternative nella logica dell’interesse e del bene comuni.

Papa Francesco definisce l’elemosina “una forma di partecipazione personale all’edificazione di un mondo più equo”. Anche un piccolo gesto di carità, dunque, può rappresentare un grande contributo..
La Chiesa ha al centro l’Eucarestia e di conseguenza il concetto di carità come dinamismo e impegno nel servizio al mondo. Infatti, come papa Francesco ci ricorda, la Chiesa non cresce per proselitismo, ma «per attrazione». Pertanto, l’esercizio della carità verso ogni persona, è costitutivo della missione della Chiesa, tanto che Gesù lo indica come ambito sul quale egli esercita il suo giudizio escatologico: “avevo fame e mi avete dato da mangiare…”(Mt 25, 31-46). Allo stesso modo da fatto individuale deve diventare impegno comunitario, molto più impegnativo di una beneficenza occasionale: non si accontenta di un gesto, ma coinvolge e crea un legame. Non è dunque solidarietà generica, né tanto meno banale elemosina. È nuovo modo di essere, stile di vita, sull’esempio di Gesù, dono di amore nella reciprocità per incidere sul costume e sulla vita comunitaria e sociale e contribuire appunto all’edificazione di un mondo più equo. Qui la carità incrocia la giustizia. Certo, è molto più facile compiere gesti occasionali, magari sull’onda dell’emotività, ma è proprio questo uno degli aspetti su cui potenziare l’impegno educativo nel promuovere la carità evangelica che, coinvolge chi la fa ed esige la conversione del cuore. Non si accontenta delle buone abitudini del passato, ma sa essere linfa vitale, capace di  trasformare il presente.

A Bari, durante l’incontro “Mediterraneo, frontiera di pace”, si è scritta una pagina storica di comunione e impegno tra le Chiese del Mare Nostrum. Quali prospettive si sono aperte?
Si sono aperte prospettive verso un “sistema” di accoglienza e di convivenza fondato sul presupposto di un reciproco riconoscimento degli apporti di civiltà che ciascuno reca alla causa comune dell’umanità. Qui, probabilmente, è necessaria un’inversione degli atteggiamenti di fondo. Occorre mettersi nell’ottica di “convergere”. Si tratta di muovere verso un traguardo più elevato di convivenza che non sia l’effetto meccanico delle necessità e delle convenienze economiche. Il riconoscimento reciproco della propria non autosufficienza è la condizione indispensabile per costruire. Senza fretta, perché il rimescolamento è imponente; ma senza perdere un solo attimo nell’avviare l’impresa.  L’elenco delle cose da fare è sterminato. Significa tenere costantemente presente la dimensione mediterranea in tutti i momenti della ricerca culturale, religiosa, politica. Significa affermare una concezione dell’Europa che includa, in termini culturali e umanistici, tutta l’area mediterranea anziché continuare ad escluderla o a riconoscerla secondo il prevalente criterio di opportunità e di convenienza.
Oggi, il Mediterraneo può e deve recuperare il ruolo di promotore di una cultura dell’accoglienza e della convivenza comune a tutti i popoli ed alle persone che abitano il “Mare nostrum”. In un tempo di nuove barbarie, nelle relazioni fra i popoli, nei rapporti fra fedi diverse, nel venir meno di un’idea comune sulla dignità umana anche all’interno delle nostre città, tutti insieme possiamo e dobbiamo riaffermare che esistono ancora spazi per costruire pace, agire e credere in un mondo riconciliato, dove le differenze siano linfa nuova e non occasioni di sospetto e di conflitto.

Sempre a Bari, il Papa ha ribadito il dovere di salvare le vite umane e ha ricordato la necessità dell’accoglienza, un processo – ha ammesso – “non facile”. La Campagna “Liberi di partire, liberi di restare” ha innescato prassi virtuose nell’ottica di un’integrazione a 360°?
La necessità dell’accoglienza è parte della cattolicità e si esprime anche nell’ospitalità assicurata allo straniero, quale che sia la sua appartenenza religiosa, nel rifiuto di ogni esclusione o discriminazione razziale, e nel riconoscimento della dignità personale di ciascuno con il conseguente impegno di promuoverne i diritti inalienabili.
Ma non possiamo nasconderci la difficoltà, sperimentata ogni giorno, di incidere concretamente nella mentalità della comunità ecclesiale e civile e nelle ordinarie situazioni della vita. È come se tutta la ricchezza delle molteplici opere ed esperienze donate in questi anni fosse una “luce sotto il moggio”. Il primo obiettivo è dunque  quello di sostenere i processi di integrazione innanzitutto attraverso la conoscenza del fenomeno migratorio.
La Chiesa in Italia, tutte le Diocesi hanno cercato di moltiplicare gli sforzi, sia attraverso il circuito istituzionale, sia attraverso un impegno diretto e proprio. Si continua così a garantire l’accoglienza a migliaia di richiedenti la protezione internazionale. Va detto inoltre che le diocesi sono attive con un lavoro quotidiano per il bene comune, spesso realizzato con le istituzioni, fatto di incontro, ascolto, mediazione culturale e sociale, tutela dei diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti.
Partendo dalla consapevolezza che integrare non significa fare diventare l’altro come me, ma vedere che cosa abbiamo in comune per camminare insieme, la Campagna “Liberi di partire, liberi di restare” insiste sui temi dello sviluppo e delle migrazioni perché cresca la consapevolezza delle storie di chi fugge, si sperimentino percorsi di accoglienza, tutela, promozione e integrazione dei migranti che arrivano tra noi, e non si dimentichi il diritto di ogni persona a vivere nella propria terra. Questo ha consentito di innescare prassi virtuose, attraverso percorsi innovativi, capaci di avvicinare le persone, le loro storie e le loro fragilità. E aprire così gli occhi per riuscire a vedere le persone e non i nemici, a trovare il coraggio di prendere posizione e di realizzare gesti, anche piccoli ma concreti.