Il tempo sospeso dei migranti

Il tempo sospeso dei migranti

Il Decreto Rilancio "che aiuta la regolarizzazione per badanti, colf e braccianti è un primo passo che restituisce dignità alle persone". Ora però bisogna "continuare in questa direzione", sottolinea padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli – JRS Italy.

di padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli – JRS Italy

Rabbrividiamo ogni giorno ascoltando i numeri della pandemia: alcuni milioni gli infetti e alcune centinaia di migliaia i morti, eppure a ben vedere nella sola Siria tra rifugiati e morti nella guerra che imperversa da ormai 9 anni si sono raggiunti gli stessi numeri dell’intero scenario mondiale causato dal Covid-19.

In Italia nel 2019 sono arrivate dal mare poco più di 11mila persone. Nonostante la pandemia ci abbia dimostrato che i confini non esistono anche nel 2019 abbiamo chiuso i porti costringendo donne, uomini e bambini in centri di detenzione in Libia, alla deriva in barche inadeguate e fuori dai porti, in attesa che si giocasse la partita del vinca il più forte, in un’Europa poco solidale, come si è mostrata a tratti anche in queste settimane di pandemia. I morti nel Mediterraneo negli ultimi anni (oltre 40 mila dal 2000) sono paragonabili a quelli che hanno riempito di lacrime i nostri occhi nelle ultime settimane. Quanto dolore vederli andarsene soli. Soli come tanti migranti a cui noi Europa abbiamo reso difficile l’approdo.

In tutti i servizi del Centro Astalli si sono acuiti in questi mesi di emergenza sanitaria gli effetti dell’entrata in vigore dei decreti sicurezza, non tanto sul numero delle persone che abbiamo assistito ma sulla loro vita che è divenuta sempre più precaria. Mala precarietà, la povertà e l’invisibilità a cui abbiamo costretto i migranti non sono nate con la pandemia. In queste settimane di chiusura caratterizzate dallo slogan “io resto a casa” è diventato ancora più evidente che nel nostro Paese molte persone questa casa non ce l’hanno e tra questi molti migranti che abbiamo reso irregolari nel tempo, con le nostre politiche di esclusione che invece di creare sicurezza creano instabilità sociale. Si tratta di vite precarie perché abbiamo reso l’accesso alla protezione internazionale un tempo sospeso, come accade per esempio nei centri di accoglienza straordinaria (CAS) in cui sono sparite le spese per l’integrazione. Vite precarie perché abbiamo reso l’accoglienza una concessione a tempo e non uno strumento che insieme all’integrazione possa trasformarsi in un progetto di vita

Vite precarie perché abbiamo reso rigido legalmente e articolato burocraticamente il rinnovo del permesso di soggiorno che prima era umanitario. Ora il Decreto Rilancio aiuta la regolarizzazione per badanti, colf e braccianti: un primo passo in una direzione che restituisce dignità alle persone ma che non ci può bastare. Di questo passo ringraziamo il Governo, ma incoraggiamo i ministri a continuare in questa direzione. Vite precarie perché la legge sull’immigrazione non è al passo con i tempi e quando si chiedono regolarizzazione e diritti emergono vecchie posizioni ideologiche che non rispecchiano quanto viviamo. Come Centro Astalli, nell’ambito della Campagna Ero straniero – l’umanità che fa bene abbiamo presentato nel 2017 una legge di iniziativa popolare per il riordino della materia immigrazione.

Le parole integrazione/inclusione sono praticamente sparite dalle agende politiche e questo ha portato a una dis-integrazione, nel senso di una cattiva o in molti casi di una mancata integrazione. E questo a livello sociale sta portando a una vera e propria disintegrazione, a una divisione, a una distruzione di quel tessuto sociale che va curato e accompagnato per la costruzione di una comunità di vita.

Bisogna essere creativi, occorre rigenerare, avere molta fantasia sociale. Nella sua lettera del giorno di Pasqua 2020 Papa Francesco ha definito i membri dei movimenti popolari «‘poeti sociali’ che alle periferie dimenticate creano soluzioni dignitose per i problemi più scottanti degli esclusi».