La protezione che (non) c’è

La protezione che (non) c’è

Il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati: tra gap mai sanati e nuove emergenze. Intervista a Mariacristina Molfetta, antropologa culturale e collaboratrice della Fondazione Migrantes.

Il fenomeno dei minori stranieri non accompagnati continua ad essere presente nel nostro Paese, con gap mai sanati e con nuove emergenze causate dall’abolizione della protezione umanitaria. “È paradossale aver creato un apparato legale per difenderci da coloro che dovremmo difendere”, denuncia Mariacristina Molfetta, antropologa culturale e collaboratrice della Fondazione Migrantes.

Quale è la situazione in Italia?
Nel 2019 sono 1400 i minori sbarcati per un totale di 6600 inseriti nel sistema di accoglienza. Si tratta per la maggior parte di maschi (il 90%) e con una bassa percentuale (10%) di femmine. Provengono soprattutto dall’Albania, dal Pakistan, dall’Egitto e da diversi Paesi africani. Per quanto riguarda le ragazze, le nazioni di provenienza sono in primis Nigeria e Albania seguite da Costa d’Avorio ed Eritrea, dato che fa suonare un campanello di allarme in quanto collegabile al fenomeno della tratta. I minori stranieri non accompagnati hanno un’età compresa tra i 15 e i 17 anni e in gran parte sono accolti in Sicilia (23%).

Quali sono le principali problematiche che si registrano nel campo della tutela dei minori stranieri?
Ce ne sono alcune costanti nel tempo, mentre altre sono emerse negli ultimi due anni con il Decreto Sicurezza. Nella prima categoria rientra certamente l’elevato numero di irreperibili: il nostro sistema ha delle buone leggi per i minori che in quanto tali hanno diritto ad essere regolarizzati, ma le risposte che mettiamo in atto non sono sempre adeguate così come è troppo lungo il tempo che impieghiamo per spostare i minori verso familiari che risiedono in altri Stati costringendoli quindi ad affrontare altri viaggi e esponendoli al rischio di cadere nelle mani dei trafficanti di esseri umani anche all’interno dell’Unione Europea. C’è poi un gap di protezione nel passaggio alla maggiore età: non è facile infatti che in pochi mesi i ragazzi riescano ad imparare la lingua ed essere autonomi. È prezioso quindi che nella legge sia previsto il proseguo della protezione tra i 18 e i 21 anni quando si è iniziato un percorso di inserimento sociale o lavorativo ma non sempre poi lo si riesce ad applicare. Tale tutela aiuta anche le ragazze a non cadere nel fenomeno della tratta.

Cosa è avvenuto con l’applicazione del Decreto Sicurezza?
Il Decreto Sicurezza ha di fatto abolito la protezione umanitaria, che veniva riconosciuta con percentuali molto alte dalle Commissioni territoriali ai minori stranieri non accompagnati a causa della loro vulnerabilità. Tale dispositivo, dopo due anni, poteva essere convertito in permesso di studio o lavoro qualora il ragazzo avesse intrapreso un cammino formativo e di inserimento sociale e lavorativo. Oggi invece le protezioni speciali inserite al posto di quella umanitaria spesso non sono più convertibile in permessi di questo tipo e dunque non esiste nessuno strumento flessibile e agile che faciliti e copra il passaggio fino ai 21 anni. Con il Decreto Sicurezza si è creato cioè un ulteriore gap dal momento che i permessi (che si sono moltiplicati) scadono in tempi brevi, al massimo nell’arco di un anno, e non essendo convertibili diventano l’anticamera dell’irregolarità. Non va dimenticato poi il fatto che il provvedimento è stato applicato dalle Commissioni Territoriali, e contrariamente a quanto ha affermato la Cassazione, in maniera retroattiva, portando le concessioni di protezione umanitaria dal 25 al 2% con conseguenze molto gravi sui minori. È paradossale aver creato un apparato legale per difenderci da coloro che dovremmo difendere.

Nel processo di accoglienza e di inclusione giocano un importante ruolo i tutori dei minori stranieri non accompagnati. Ce ne sono abbastanza?
I tutori sono circa 5000, un numero significativo pari quasi a quello dei minori. C’è stato in questi anni un grande sforzo per formare queste figure nelle varie regioni, in particolare in Sicilia dove la pressione è sempre stata maggiore. La Chiesa, anche con il supporto della Fondazione Migrantes, si è impegnata sul fronte della formazione nella terra sicula in particolare, ma in parte anche in Calabria e Puglia. La risposta da parte di persone che si sono mostrate disponibili ad essere figure relazionali e affettive oltre che legali c’è stata e c’è. Occorre lavorare per ricreare norme che facilitino l’incontro e l’inclusione.