L’Unione europea, le politiche migratorie e lo sviluppo dell’Africa

L’Unione europea, le politiche migratorie e lo sviluppo dell’Africa

L'analisi di Clément Sangare, giovane maliano di Rondine Cittadella della Pace, dopo la visita a Bruxelles.

Dal 19 al 23 novembre, insieme ai giovani della World House di Rondine, ho avuto la possibilità conoscere da vicino le Istituzioni dell’Unione Europea e di incontrare i rappresentanti del Parlamento e della Commissione europei, nello specifico quelli della Direzione Generale Cooperazione Internazionale e Sviluppo. È stata un’occasione preziosa per approfondire la mia conoscenza sulle politiche europee, in particolare riguardo alla situazione dei migranti in Libia, alla crescente insicurezza in Mali, paese dal quale provengo e agli aiuti stanziati per lo sviluppo in Africa. Secondo la Direzione Generale Cooperazione Internazionale e Sviluppo, l’UE e l’Unione africana lavorano insieme dal 2007, per cercare una soluzione comune per i problemi, molti dei quali permangono come dimostra la situazione della Libia (già frutto delle politiche ambigue della Francia in relazione al governo libico di Gheddafi e del silenzio, a riguardo, dell’Unione europea e di quella africana).
Se oggi il nord del Mali si è trasformato in un nido di jihadisti, se i giovani africani, specialmente quelli del Nord Africa, abbandonano i loro paesi, vengono venduti come bestiame in Libia, vengono inghiottiti dal mare nel desiderio di cercare una vita migliore in Europa, la causa è da cercarsi nell’intervento poco lungimirante che ha portato alla guerra in Libia, nella irresponsabilità e mancanza di franchezza nella cooperazione tra le due parti, ovvero l’Unione africana e quella europea.
Quanto gli aiuti allo sviluppo, l’Unione europea, sostiene la Commissione, è presente e attiva in diversi paesi in difficoltà, più precisamente nella Repubblica Centrafricana, in Libia, in Mali, in Niger e in Somalia.
In occasione del quinto vertice tra l’Unione africana e l’Unione europea che si è svolto il 29 e 30 Novembre 2017 a Abidjan, in Costa d’Avorio, è stato presentato ai leader dell’Unione africana il nuovo piano di investimenti dell’Unione europea. Tale piano prevede 44 miliardi di euro di investimenti in Africa entro il 2020. Il fondo si concentrerà sulle prospettive economiche per i giovani, sulla pace e sicurezza, sulla mobilità e sulla migrazione, sulla cooperazione in materia di governance. Questa dichiarazione di aiuto allo sviluppo è un’ottima notizia per coloro che vogliono il bene dell’Africa. Ma allo stesso tempo non possiamo ignorare l’uso improprio dei finanziamenti che è stato fatto in passato da entrambe le parti: parte di fondi sono stati gestiti direttamente dalla Commissione, non tutti i fondi stanziati sono stati poi effettivamente erogati. Tutto questo non ha portato ai risultati attesi. Questa deve essere una lezione per i leader africani. Una cosa è promettere di aiutare, una è mantenere la promessa e un’altra ancora è lasciare che i beneficiari usino i fondi in base alle reali necessità delle comunità locali. Quindi è giunto il momento per l’Unione europea di lasciare che l’Africa impari da sola a pescare il proprio pesce per la sopravvivenza. L’Africa non può più accettare una cooperazione di dipendenza, ma piuttosto una relazione di parità a tutti i livelli ma prima deve imparare a farlo. Il continente africano deve basare il suo sviluppo culturale socio-economico a partire dalla realtà e dai bisogni concreti, non su altro: nessun continente può svilupparsi sotto l’ala di un altro. I leader africani devono ripensare il modo in cui governano, vietare la corruzione, evitare la guerra e smettere di vederla come una fonte di economia ed essere decisivi in tutte le circostanze. L’Africa deve inventare i propri sistemi educativi basati sui propri valori, costruire i propri impianti di estrazione e lavorazione per i prodotti locali, la propria industria dei vaccini e molte altre cose: ecco come potrà fornire un lavoro adeguato e dignitoso a tutti i giovani che lo cercano e che oggi cercano fortuna in Europa: solo questa modalità può rallentare l’immigrazione e rendere realtà lo sviluppo del continente africano.