Quando la terra è causa di conflitto
Leonard, studente del progetto Rondine, racconta il dramma del conflitto tra agricoltori e pastori in Mali.
Il Mali è un paese agro-pastorale in cui la maggior parte della popolazione vive di agricoltura e allevamento. La terra è una fonte di reddito inestimabile per la gente di un paese del Sahel. Quindi le attività primarie si riducono all’agricoltura e all’allevamento. Ma questi due settori sono spesso interessati da conflitti che sorgono tra le due parti. I pastori fanno pascolare il loro bestiame nei campi degli agricoltori per disattenzione o per mancanza di una presenza che controlli il bestiame spesso lasciato libero. L’agricoltura fornisce al paese prodotti cerealicoli come miglio, mais, riso, fagioli e prodotti commerciali o industriali, quali cotone, arachidi e il settore zootecnico produce carne, latte e pelli di animali. Il corretto svolgimento di queste due attività sarebbe molto importante per lo sviluppo del Paese. Pertanto, è anche necessario proteggere gli uomini e le donne che lavorano in questi settori essenziali.
Le cause dei conflitti tra pastori e agricoltori sono molteplici: in gran parte del centro e nel sud del Paese, questi scoppiano quando gli agricoltori invadono le rotte della transumanza, spingendo i pastori nell’entroterra per nutrire i loro animali. Un altro problema è poi l’intensificazione della concorrenza per i terreni agricoli. Il problema della scarsità di terra è stato aggravato dall’accaparramento di terreni da parte dell’agrobusiness a seguito dell’adozione di nuove leggi che favoriscono la proprietà privata della terra, ma anche dall’aumento del numero dei cercatori d’oro che tengono gli allevatori fuori dalle rotte di transumanza e inquinano i punti d’acqua con prodotti chimici.
Molti degli scontri che sono scoppiati nel paese seguono linee di divisioni etniche tra i pastori Fulani (Peulhs) e gli agricoltori Buwas, Bambaras, Senoufo, Miankas, Dogon e così via. I conflitti sono diventati più violenti negli ultimi anni, determinando un rapido accrescere del fenomeno.
La causa più comune è l’arrivo di rifugiati maliani dal nord, per lo più pastori, che aggravano il problema esistente, dato che il pascolo diventa insufficiente durante la stagione delle piogge (da luglio a settembre) e dopo (da ottobre a dicembre). Il flusso migratorio è il risultato dell’occupazione del nord da parte di gruppi jihadisti e di interventi militari nel nord del Paese. Per qualsiasi problema c’è sicuramente una soluzione o una prevenzione ma è difficile porre fine al conflitto una volta iniziato. È fondamentale evitare che questi conflitti degenerino in scontri sanguinosi tra gruppi diversi o, ancor peggio, in scontri interetnici tra persone che condividono valori comuni.
La maggior parte dei conflitti è il risultato di una cattiva comprensione reciproca delle norme e dei regolamenti che proteggono i terreni agricoli e le rotte di transumanza. E questa mancanza di informazione è legata al fatto che molti pastori mandano i propri figli a prendersi cura degli animali, molti dei quali sono analfabeti e non conoscono le leggi. Generalmente i problemi tra pastori e contadini avvengono di notte, quando gli animali si allontanano per pascolare nella savana e fino ai campi di mais, miglio, fagioli, fonio (un cereale molto antico e diffuso soprattutto nella Savana) mentre gli agricoltori dormono.
Ecco allora che le autorità e le popolazioni interessate devono affrontare e risolvere le questioni quali la regolamentazione del territorio l’importanza della protezione delle strade utilizzate dai nomadi, la possibile collaborazione per poter utilizzare le risorse naturali in modo sostenibile. I funzionari locali dovrebbero inoltre incoraggiare gli agricoltori e i pastori a concordare percorsi di transumanza e concludere accordi più vincolanti. La maggior parte delle controversie sono risolte dai leader della comunità, e in alcuni casi sono gestite da tribunali locali, il che può richiedere anni per deliberare sui casi, e questo peggiora ancora di più le tensioni all’interno delle comunità. È triste vedere che spesso, quando i conflitti sorgono tra agricoltori e allevatori, gli scontri diventano anche violenti e coinvolgono l’uso di armi e addirittura si arriva a infliggere ferite mortali o ad infierire sui corpi dei morti. Le autorità reagiscono spesso in ritardo e inviano i facilitatori quando il danno è già stato fatto. Ad oggi, purtroppo, non esiste nessuna politica per sradicare il crescente fenomeno nel Paese anche se è essenziale pensare a delle misure di sostegno e accompagnamento che potrebbero ridurre il flagello e aiutare i vari gruppi a far crescere le proprie attività in totale sicurezza.