Sogno di pace per il Mali

Sogno di pace per il Mali

Un'agenzia di formazione e consulenza per promuovere la gestione tradizionale dei conflitti interculturali o interetnici: ecco il progetto di Clemènt, studente alla "Cittadella della Pace" di Rondine.

di Francesco Ognibene

Grande e grosso com’è, Clément incute persino un poco di timore. Ma questo 32enne di Bamako è un mite ragazzone con un sogno fisso in testa: diventare costruttore di ponti in un mondo di muri e fili spinati. Laureato in sviluppo sostenibile e comunicazione, aveva tutta la possibilità di scegliersi un futuro agevole anche in Mali, la sua patria. Ma quando la coscienza detta di non accontentarsi quando è chiaro a cosa si è chiamati non c’è più nulla da fare. Clément è arrivato in Italia poco meno di un anno fa, selezionato tra i giovani che stanno dando vita alla nuova nidiata della World House di Rondine, la Cittadella della Pace che a due passi da Arezzo da vent’anni costruisce riconciliazione tra popoli in conflitto a partire dai giovani dell’una e dell’alta parte, uno di qua e uno di là, sulla carta nemici ma che nei due anni allo studentato internazionale aretino imparano a conoscersi, rispettarsi e cercare insieme una via per pacificare la loro terra. Per poi tornare e seminare a piene mani. È un piccolo seme ma molto evangelico, quello di Rondine, cresciuto con la pazienza di un sognatore di prima grandezza come Franco Vaccari, fondatore e animatore di questa repubblica dei giovani che vuole cambiare il mondo, nientemeno. E ci riuscirà, fedele al segreto della cittadella – e non solo – secondo il quale un grande sogno esige un grande cuore prima che tante braccia. Prendete Clément Sangare da Bamako: alla fine del suo primo anno in questo antico borgo affacciato sull’Arno e ripopolato dai giovani – inclusi i liceali di tutt’Italia scelti per il quarto anno di eccellenza, ora di ritorno a casa per seminare e piantare progetti di futuro –, lui e cinque altri giovanottoni del Mali hanno capito molto bene che saranno loro a pilotare il progetto per la «trasformazione dei conflitti» tornando in patria nel 2020, una volta completati gli studi e l’apprendistato di pace a Rondine, per lavorare alla guarigione delle ferite che dilaniano la struttura di un Paese instabile e conteso dalle etnìe. Hanno già chiaro che dovranno impegnarsi duramente – e con saggia tenacia – per «creare opportunità di lavoro e sviluppo» da assicurare ai loro coetanei del Mali, cui finalmente verrà schiusa la prospettiva di un futuro possibile a casa propria senza più essere costretti ad affrontare la drammatica traversata di deserti e mari, violenze e umiliazioni, fino alle nostre coste, e oltre. Ecco perché la Conferenza episcopale italiana ha creduto nel cantiere di Rondine, inserendolo nel suo progetto «Liberi di partire, liberi di restare»: qualcuno deve dare ali ai progetti di ragazzi africani come Clément, che intende «promuovere la gestione tradizionale dei conflitti interculturali o interetnici attraverso la creazione di un’agenzia di formazione e consulenza per il centro e il sud del Mali». Lo «sportello di mediazione», che da noi può apparire cosa ovvia, nel cuore dell’Africa ha potenzialità rivoluzionarie: i contrasti tribali risolti sul nascere, la pace sociale garantita, le condizioni per lo sviluppo assicurate, niente più fuga verso l’ignoto. È solo così che cresce davvero l’albero della pace.
La ribalta per progetti come quello maliano è stata assicurata nei giorni scorsi dalla kermesse Youtopic Fest, durante la quale Rondine con tutti i suoi numerosi amici e sostenitori ascolta e festeggia i progetti dei giovani dalle aree più sofferte del mondo che in Italia stanno sperimentando la possibilità di diventare artigiani di sviluppo. Palpabile l’orgoglio di Vaccari, che quest’anno ha già sperimentato la gioia di vedere alcune sue «rondini» spiccare il volo per metter mano in Sierra Leone a uno straordinario esperimento sul campo di pacificazione sociale prima, durante e dopo le recenti elezioni presidenziali. Perché a Rondine si sogna, certo, ma a occhi ben aperti.

Fonte: Avvenire, 15 giugno 2018