Tutelare la Terra, perché non vi siano profughi ambientali

La terra è certamente data “ai figli dell'uomo”; ma non per essere saccheggiata, bensì “per essere abitata”.

Noi non siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data. Ciò consente di rispondere a un’accusa lanciata contro il pensiero ebraico-cristiano: è stato detto che, a partire dal racconto della Genesi che invita a soggiogare la terra (cfr Gen 1,28), verrebbe favorito lo sfruttamento selvaggio della natura presentando un’immagine dell’essere umano come dominatore e distruttore. Questa non è una corretta interpretazione della Bibbia come la intende la Chiesa (LS 67). 

Il pensiero cristiano – e i primi capitoli della Genesi in particolare – sono stati spesso accusati di essere all’origine di gravi guasti riguardo all’operare dell’uomo nel mondo: ad esempio, di favorire e giustificare (teologicamente) un’azione di intervento sul mondo senza limitazioni di sorta, con disastrose conseguenze in campo ecologico; di abbandonare a se stessa, guardandola con sospetto, l’attività umana per il progresso e la trasformazione del mondo. Due accuse apparentemente (ma solo apparentemente) contraddittorie, in quanto espressioni antitetiche ed estreme di un medesimo disinteresse per la realtà terrena. L’accusa non è certo infondata, se si riferisce agli schemi interpretativi di non piccola parte della teologia e della prassi cristiana nel corso dei secoli passati.
L’originalità della prospettiva biblica rispetto a quelle delle culture che le erano circostanti non è soltanto frutto di una migliore elaborazione intellettuale (sebbene anch’essa giochi ruolo non secondario in questi testi), ma proviene da una diversa esperienza religiosa. Benché l’idea del mondo dipendente da Dio sia certamente antichissima e comune a tutta l’area culturale del vicino oriente, l’idea biblica di Dio creatore deriva – nella sua specificità – dall’esperienza salvifica di Israele, e con essa nativamente si connette.

La Bibbia insegna che ogni essere umano è creato per amore, fatto ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26). Questa affermazione ci mostra l’immensa dignità di ogni persona umana, che «non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno. È capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donarsi e di entrare in comunione con altre persone». San Giovanni Paolo II ha ricordato come l’amore del tutto speciale che il Creatore ha per ogni essere umano «gli conferisce una dignità infinita. Coloro che s’impegnano nella difesa della dignità delle persone possono trovare nella fede cristiana le ragioni più profonde per tale impegno. Che meravigliosa certezza è sapere che la vita di ogni persona non si perde in un disperante caos, in un mondo governato dalla pura casualità o da cicli che si ripetono senza senso! Il Creatore può dire a ciascuno di noi: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto» (Ger 1,5). Siamo stati concepiti nel cuore di Dio e quindi «ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario» (LS 65).

Entro questo orizzonte originale trova nuova collocazione anche la comprensione dell’uomo in se stesso e nelle sue dinamiche relazioni con Dio e con il mondo, relazioni che vengono in tal modo ridisegnate nei loro fondamenti, e per le quali è aperta una strada che le sottrae all’ingiustizia o all’arbitrio umani. L’uomo non appare creato per la fatica, il conflitto, la morte, ma per la vita. Ciò si legge in filigrana nel racconto in cui l’uomo, trasferito dalla terra arida e inospitale nel giardino di Eden, vive in perfetta armonia con se stesso, con le cose, gli animali, e con Dio.
Il tema dell’uomo immagine di Dio, benché non molto frequente nell’Antico Testamento, ha costituito punto di riferimento costante nella teologia rabbinica e cristiana di ogni epoca. Questo interesse è dovuto certamente alla forza pregnante dell’espressione e alla sua capacità di rappresentare il mistero dell’uomo nella sua profondità.
Non è nostro compito entrare nella discussione circa le diverse interpretazioni che storicamente ne sono state date. Ci basta osservare come il testo di Gen 1,28, che direttamente concerne il nostro assunto («Dio li benedisse e disse loro: Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate… »), non può essere correttamente inteso senza riferirlo al suo contesto immediato (Gen 1,27: «Dio creò l’uomo a sua immagine… »), cui è letterariamente e contenutisticamente connesso. È infatti nell’essere immagine di Dio che la signoria dell’uomo nell’universo trova il proprio fondamento e il proprio criterio.
Come deve essere inteso, dunque, il “dominio” di cui parla il testo di Genesi? Quali criteri guida nel suo necessario relazionarsi al mondo, agli altri uomini, a Dio?

Ciononostante, Dio, che vuole agire con noi e contare sulla nostra collaborazione, è anche in grado di trarre qualcosa di buono dai mali che noi compiamo, perché «lo Spirito Santo possiede un’inventiva infinita, propria della mente divina, che sa provvedere a sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e impenetrabili». In qualche modo, Egli ha voluto limitare sé stesso creando un mondo bisognoso di sviluppo, dove molte cose che noi consideriamo mali, pericoli o fonti di sofferenza, fanno parte in realtà dei dolori del parto, che ci stimolano a collaborare con il Creatore. Egli è presente nel più intimo di ogni cosa senza condizionare l’autonomia della sua creatura, e anche questo dà luogo alla legittima autonomia delle realtà terrene. Questa presenza divina, che assicura la permanenza e lo sviluppo di ogni essere, «è la continuazione dell’azione creatrice». Lo Spirito di Dio ha riempito l’universo con le potenzialità che permettono che dal grembo stesso delle cose possa sempre germogliare qualcosa di nuovo: «La natura non è altro che la ragione di una certa arte, in specie dell’arte divina, inscritta nelle cose, per cui le cose stesse si muovono verso un determinato fine. Come se il maestro costruttore di navi potesse concedere al legno di muoversi da sé per prendere la forma della nave» (LS 80).

Proprio perché conseguenza e manifestazione specifica dell’essere immagine di Dio, il “dominio” ne riflette i caratteri. Ne discende una serie di criteri, di orientazioni fondamentali, cui ispirare e su cui confrontare l’agire umano nell’universo. Si tratta anzitutto della dimensione di libertà che definisce costitutivamente la creatività dell’uomo.

E’ ammirevole la creatività e la generosità di persone e gruppi che sono capaci di ribaltare i limiti dell’ambiente, modificando gli effetti avversi dei condizionamenti, e imparando ad orientare la loro esistenza in mezzo al disordine e alla precarietà. Per esempio, in alcuni luoghi, dove le facciate degli edifici sono molto deteriorate, vi sono persone che curano con molta dignità l’interno delle loro abitazioni, o si sentono a loro agio per la cordialità e l’amicizia della gente. La vita sociale positiva e benefica degli abitanti diffonde luce in un ambiente a prima vista invivibile. A volte è encomiabile l’ecologia umana che riescono a sviluppare i poveri in mezzo a tante limitazioni. La sensazione di soffocamento prodotta dalle agglomerazioni residenziali e dagli spazi ad alta densità abitativa, viene contrastata se si sviluppano relazioni umane di vicinanza e calore, se si creano comunità, se i limiti ambientali sono compensati nell’interiorità di ciascuna persona, che si sente inserita in una rete di comunione e di appartenenza. In tal modo, qualsiasi luogo smette di essere un inferno e diventa il contesto di una vita degna
(LS 148). 

Il verbo “dominare” impiegato in Gen 1,28 non significa, un volta di più, esercitare arbitrariamente il potere, ma richiama la forma di dominio più classica dell’antichità, quella regale, nella sua figurazione emblematica e ideale. Non solo la Bibbia, ma anche le culture circostanti sottolineano ripetutamente che l’autorità del re non significa potere dispotico, ma anzitutto responsabilità per il popolo a lui affidato, che egli deve proteggere e condurre alla prosperità. Ciò corrisponde, del resto, all’idea sottesa ai due verbi “coltivare e custodire” di Gen 2,15. La terra è certamente data “ai figli dell’uomo” (Sal 115,16); ma non per essere saccheggiata, bensì “per essere abitata” (Is 45,18). Una seconda indicazione proviene della ribadita affermazione della bontà del creato, quale esso esce dalle mani di Dio (“e Dio vide che era cosa buona”, Gen 1,9.12.18.21.25; “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona”, Gen 1,31). L’azione dell’uomo nel mondo non può essere quindi che rispetto ed incremento di tutto ciò che è buono/bello. L’entusiasmo con cui la bellezza e la bontà delle cose create viene affermata ne implica il rispetto, mentre l’insistenza sull’ordine che regna nel creato ne esige la conservazione.

Molte cose devono riorientare la propria rotta, ma prima di tutto è l’umanità che ha bisogno di cambiare. Manca la coscienza di un’origine comune, di una mutua appartenenza e di un futuro condiviso da tutti. Questa consapevolezza di base permetterebbe lo sviluppo di nuove convinzioni, nuovi atteggiamenti e stili di vita. Emerge così una grande sfida culturale, spirituale e educativa che implicherà lunghi processi di rigenerazione (LS 202).

È molto importante, per la nostra prospettiva,  notare che il rispetto, la salvaguardia del mondo non sono che il versante minimale di uno spazio di attivazione che è aperto all’uomo perché egli vi esplichi la propria creatività. In tal modo il mondo può assumere quel dinamismo escatologico/definitivo che ne costituisce il significato e il destino. La creazione non è solo ex nihilo, ma anche contra nihilum: è qualche cosa di più della tesi classica della creatio continua. Il peccato, come forza di negatività, si manifesta anche in questo: che l’uomo ha la tremenda possibilità di interrompere e rovesciare il dinamismo evolutivo che è insito nella realtà a partire dall’atto creatore di Dio. E il rischio (non teorico) che la creazione venga “sottoposta alla vanità” (Rm 8,20), vanificata, annientata. Anch’essa partecipa direttamente alle decisioni esistenziali dell’uomo, alla sua azione per promuovere tutto ciò che è positivo e per contrastare ogni forza distruttiva. Questa “negazione promotrice” appare come la condizione di ogni progresso umano. Non si tratta soltanto, dunque, di una difesa statica dell’universo, ma di un dinamismo volto a superare lo status quo perché il mondo si apra alla creatività e, con ciò stesso, trovi la propria realizzazione.
La “conversione ecologica” di cui tratta Laudato sì non è soltanto un non deturpare le bellezze del creato, un rendere meno ridente il cosmo; è anche consentire all’uomo la possibilità di un incontro sereno e comunicativo (anche in proiezione trascendente) con il reale. È la cura di non sottrarre al reale stesso la propria possibilità di continuo perfezionamento, cui è chiamato per l’opera della creazione e richiamato per l’opera della redenzione.

D’altra parte, nessuna persona può maturare in una felice sobrietà se non è in pace con sé stessa. E parte di un’adeguata comprensione della spiritualità consiste nell’allargare la nostra comprensione della pace, che è molto più dell’assenza di guerra. La pace interiore delle persone è molto legata alla cura dell’ecologia e al bene comune, perché, autenticamente vissuta, si riflette in uno stile di vita equilibrato unito a una capacità di stupore che conduce alla profondità della vita. La natura è piena di parole d’amore, ma come potremo ascoltarle in mezzo al rumore costante, alla distrazione permanente e ansiosa, o al culto dell’apparire? Molte persone sperimentano un profondo squilibrio che le spinge a fare le cose a tutta velocità per sentirsi occupate, in una fretta costante che a sua volta le porta a travolgere tutto ciò che hanno intorno a sé. Questo incide sul modo in cui si tratta l’ambiente. Un’ecologia integrale richiede di dedicare un po’ di tempo per recuperare la serena armonia con il creato, per riflettere sul nostro stile di vita e i nostri ideali, per contemplare il Creatore, che vive tra di noi e in ciò che ci circonda, e la cui presenza «non deve essere costruita, ma scoperta e svelata» (LS 225).

Per questa sua valenza liberatrice e promotrice la creatività dell’uomo è legata, nella visione biblica, alla benedizione divina (Gen 1,28). Il concetto veterotestamentario di benedizione è affine a quello di pace. In questo senso esso indica la costante azione di Dio nei confronti dell’uomo per la sua salvezza, mentre “pace” connota lo stato, la condizione di salvezza. La benedizione inserisce quindi fin dal momento della creazione dell’uomo (e correlativamente del mondo) un dinamismo e una orientazione che trovano nella sua parola (“e Dio disse…”) l’indicazione progettuale, e nella sua azione (“Dio li benedisse…”) la forza propulsiva di realizzazione. In tal modo, l’azione dell’uomo nell’universo è creativa in quanto connessa costitutivamente e dinamicamente con l’azione creatrice di Dio e, per lo stretto legame di questa con la storia della salvezza, ne riceve vocazione e forza salvifiche.

Dio Onnipotente,
che sei presente in tutto l’universo
e nella più piccola delle tue creature,
Tu che circondi con la tua tenerezza
 
tutto quanto esiste,
riversa in noi la forza del tuo amore
affinché ci prendiamo cura
 
della vita e della bellezza.
Inondaci di pace, perché viviamo come fratelli e sorelle
senza nuocere a nessuno.
O Dio dei poveri,
aiutaci a riscattare gli abbandonati
 
e i dimenticati di questa terra
che tanto valgono ai tuoi occhi.
Risana la nostra vita,
affinché proteggiamo il mondo e non lo deprediamo,
affinché seminiamo bellezza
e non inquinamento e distruzione.
Tocca i cuori
di quanti cercano solo vantaggi
a spese dei poveri e della terra.
Insegnaci a scoprire il valore di ogni cosa,
a contemplare con stupore,
a riconoscere che siamo profondamente uniti
con tutte le creature
nel nostro cammino verso la tua luce infinita.
Grazie perché sei con noi tutti i giorni.
Sostienici, per favore, nella nostra lotta
per la giustizia, l’amore e la pace
(LS 246).