Una finestra di speranza

Una finestra di speranza

Pasqua significa “passaggio”. L'augurio è di passare "dalla chiusura verso gli altri alla solidarietà, dall’egoismo alla dedizione, dalla paura all’affidamento, dalla malattia alla guarigione, dall’emarginazione all’inclusione sociale", afferma don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale sociale e il lavoro.

Pasqua significa “passaggio”. “Dovremmo augurare a tutti di passare dalla chiusura verso gli altri alla solidarietà, dall’egoismo alla dedizione, dalla paura all’affidamento, dalla malattia alla guarigione, dal pianto alla gioia, dall’emarginazione all’inclusione sociale, dalla schiavitù nelle nostre precomprensioni alla libertà”, afferma don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale sociale e il lavoro.

Quale messaggio porta la Pasqua all’Italia di oggi, provata dalla pandemia e angosciata per il futuro?
La Pasqua è una finestra di speranza sulla vita. Ne abbiamo particolarmente bisogno in questi giorni segnati dal Covid-19. Cristo Risorto offre uno sguardo diverso sulla storia. Ce ne siamo accorti mentre tutti erano impegnati a diffondere il messaggio #iorestoacasa! Il tempo chiuso imprigiona: l’uomo ha bisogno di vivere in un tempo aperto che gli riservi possibilità di liberazione. Questa è la differenza tra la disperazione e la speranza. Da credenti potremmo farci promotori del senso antico della parola Pasqua, che significa «passaggio». Dovremmo augurare a tutti di passare dalla chiusura verso gli altri alla solidarietà, dall’egoismo alla dedizione, dalla paura all’affidamento, dalla malattia alla guarigione, dal pianto alla gioia, dall’emarginazione all’inclusione sociale, dalla schiavitù nelle nostre precomprensioni alla libertà. Lo sappiamo: nessuno si salva da solo! La Pasqua ce lo ricorda: la nostra vita respira della gratuità di un dono che ci precede, ci custodisce e ci attende. La pandemia non ha l’ultima parola sulla storia umana.

Pasqua è sinonimo di vita nuova e in tanti dicono che, superata l’epidemia, non saremo più quelli di prima. È d’accordo?
In questi momenti non occorre cedere alla tentazione delle frasi fatte o degli slogan a basso costo. È certa una cosa: nulla sarà come prima. È già così: molte cose sono cambiate per tante persone. Si pensi a chi ha avuto uno o più lutti in famiglia. C’è chi non ha potuto piangere come si deve un proprio caro, né depositare un fiore né vivere riti di preghiera o commiato come sarebbe giusto. C’è chi ha attraversato la malattia con giorni difficili di ospedale. C’è chi ha lavorato come non mai perché impegnato in ambito sanitario. C’è chi ha perso la vita proprio a causa del lavoro di cura (medici, infermieri…). C’è chi sta rischiando di perdere il lavoro. C’è chi soffre la mancanza di liquidità per le proprie imprese. C’è chi non vede roseo il futuro dei propri investimenti o dei propri mutui aperti gli anni passati. C’è chi si è visto costretto a rivolgersi alla Caritas o ai servizi sociali per avere un sostegno economico. C’è chi si rende conto che in casa i bambini somatizzano le incertezze del presente. C’è chi ha ridisegnato le modalità di relazione e di attività quotidiana (insegnanti, studenti, lavoratori in smart working…). E poi tutti abbiamo imparato a distanziarci, a isolarci con le relative conseguenze in termini di sospetti, paure e disagi.

Molte cose sono già cambiate. Però, non è detto che questi cambiamenti in atto comportino necessariamente una vita nuova. Essa ha bisogno di un pensiero e di scelte condivise. Saremo capaci di vivere meglio insieme? Avremo il coraggio di regalarci stili di vita e tempi più umani? Saremo capaci di vera solidarietà che guarda ai poveri e agli ultimi come i primi destinatari di una nostra attenzione? Custodiremo la nostra fragilità abbandonando quel senso di onnipotenza che talora ci sovrasta e ci schiaccia? Le domande restano, ma intuiamo che questo è il livello di una vita nuova accolta…

Il mondo del lavoro è messo a dura prova dalle restrizioni imposte per il contenimento del virus. Quali strade bisognerà percorrere per far sì che si possa, anche in questo settore, risorgere?
Il mondo del lavoro subirà grandi trasformazioni. Alcune in positivo, altre in negativo. In positivo, ci siamo accorti che, nonostante i tempi di reazione ristretti, siamo capaci di adattamento. La tecnologia può essere di aiuto. Lo smart working non è impossibile: potrà conciliare meglio i tempi della famiglia e quelli del lavoro. Potrà diventare anche una risorsa in momenti di crisi ambientale, per abbattere i livelli di inquinanti e di polveri sottili nelle nostre città e alleggerire il traffico cittadino.

In negativo, però, il mondo del lavoro è messo a dura prova. Alcuni settori si sono fermati o sono stati costretti a ridurre notevolmente la produzione. Alla ripresa c’è molta incertezza. Il settore del turismo, la filiera agroalimentare, le cooperative sociali, il mondo della cultura, le piccole e medie imprese, le partite iva, i lavoratori stagionali sono tutti a rischio. Il settore florovivaistico è in ginocchio, la pesca è in difficoltà, la trasformazione del latte ha subito perdite notevoli. Insomma, c’è tanta sofferenza e bisogna scongiurare il pericolo che, dopo aver assistito alla morte di molte persone, si debba assistere alla morte delle imprese e dei posti di lavoro. C’è davvero bisogno di uno sforzo di solidarietà verso tutto il mondo del lavoro. La crisi economica potrebbe dare un colpo decisivo a tante persone che hanno investito in questi anni per creare posti di lavoro innovando e facendo della sostenibilità il loro punto fermo. È necessario non lasciare solo chi attraversa il deserto della crisi.

 Questo cammino quaresimale, pur essendo atipico, ha messo in rilievo la fantasia della carità e della solidarietà, anche nei confronti di poveri, anziani soli e migranti. Quale insegnamento ci lascia?
Proprio questa è la speranza di cui abbiamo bisogno. L’uomo quando è in difficoltà può subire oppure può reagire in modo creativo. Molti hanno vissuto questa situazione col desiderio di rispondere generosamente agli appelli di aiuto. La gara di solidarietà a favore degli ospedali più colpiti dall’emergenza sanitaria è stata un bel segno. Merita un plauso anche Caritas italiana che non si è fermata un istante davanti alle urgenze che provenivano dalle famiglie e dalle persone. Si sta cercando nelle diocesi di aprire canali di attenzione nei confronti di chi vive forme di depressione psicologica. Mai come in questo tempo le occasioni di preghiera sono state avvertite come un dono. I malati hanno apprezzato la vicinanza ecclesiale verso questo tempo di fragilità. L’insegnamento è chiaro: la parabola del samaritano ha bisogno di essere incarnata ogni giorno sulle strade della storia. Solo così la nostra umanità ne esce rafforzata. I malati, i migranti, i poveri, le persone sole, chi è emarginato, chi è senza casa, i disoccupati sono i custodi della nostra umanità. Ci invitano ad alzare l’asticella della nostra cura reciproca.

Durante il momento di preghiera straordinario in piazza san Pietro, il Papa ha ricordato che «è il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è; è il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri». Ancora una volta Francesco invita alla conversione…
La scena di papa Francesco solo in una piazza san Pietro deserta è una di quelle immagini che resteranno nella storia dell’anima di molti di noi. Chi non si è commosso è solo perché non ha capito cosa significhi abitare l’umanità, condividerne il destino. Francesco ha scelto la strada più evangelica: farsi intercessore presso Dio. Il suo appello è stato il grido di tutta l’umanità: la tempesta ha smascherato le falsità di cui ci siamo riempiti. Nel suo discorso il Papa ha ricordato che è tempo di fare discernimento perché non abbiamo ascoltato i segnali che ci provenivano dai popoli e dalla creazione. La vulnerabilità è invito alla conversione. Perché ciò avvenga Francesco ci ha invitati ad abbracciare la croce. Non si arriva alla Pasqua dribblando il Venerdì santo! Ci siamo illusi e abbiamo illuso. Dobbiamo fare i conti con la debolezza umana e vivere nella logica della gratitudine.

La conversione ora va scritta sulle pagine bianche del nostro futuro: continueremo a dare priorità alla corsa agli armamenti e ad investire sulla difesa con le armi piuttosto che garantirci un solido sistema sanitario in grado di reggere alle bufere? Continueremo a togliere investimenti nella ricerca scientifica guardando con tristezza i nostri giovani lasciare il Paese? Continueremo a pensare che le università di medicina o di infermieristica debbano rimanere a numero chiuso? Continueremo a ritenere che i lavori di cura siano di serie B rispetto ai commentatori televisivi, ai rapper, agli influencer o ai calciatori? Continueremo a illuderci che l’Italia possa farcela da sola, dopo aver assistito al generoso soccorso del personale sanitario cinese, albanese, cubano… nelle nostre città? Continueremo a colpevolizzare gli immigrati dei nostri problemi, quando molti di loro ci hanno salvato dalla raccolta nei campi in questo periodo?

Cosa dobbiamo capire ancora? La conversione sta dentro a un saggio discernimento. La piazza di san Pietro vuota suggerisce una benedizione sull’umanità tutta. Questa è la conversione che ci attende: una salvezza universale. Cattolica, appunto.