Persone, non oggetti

Persone, non oggetti

“La schiavitù è stata abolita dal punto di vista giuridico, ma è ancora una triste realtà presente in tutti i Paesi”, afferma don Giovanni De Robertis, direttore della Fondazione Migrantes, che lancia l’idea dei “Fridays for future” per le donne.

“La schiavitù è stata abolita dal punto di vista giuridico, ma è ancora una triste realtà presente in tutti i Paesi”, afferma don Giovanni De Robertis, direttore della Fondazione Migrantes, che lancia l’idea dei “Fridays for future” per le donne, perché finalmente le si possa vedere “non come oggetti da usare, ma come persone da rispettare e da amare”.

In un recentissimo incontro al Senato, il card. Bassetti ha sottolineato che “il vero problema non è il numero dei migranti, che negli ultimi anni non cresce più, ma la ‘cattiva accoglienza’”. Cosa significa?
È vero: negli ultimi anni il numero degli immigrati non è cresciuto, si è stabilizzato intorno ai 5,3 milioni. L’Italia sembra non essere più attrattiva non solo per gli stranieri che poi continuano il loro viaggio verso il Nord Europa, ma per gli stessi italiani che hanno ripreso a lasciare il Paese in numero crescente. Nello scorso anno, si sono iscritti all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (Aire) per motivi di espatrio 128mila persone, con il conseguente abbandono di intere zone del nostro territorio. C’è poi un problema di cattiva accoglienza, cioè di un numero elevato di persone straniere abbandonate a sé stesse, che non sanno dove andare, cosa fare, e, purtroppo, spesso non hanno titolo di soggiorno o lo hanno perso, avendo perso il lavoro o non potendo avere una residenza da indicare, e che quindi diventano facile preda dello sfruttamento lavorativo e sessuale o della criminalità. Si stima siano 600/700 mila gli stranieri senza titolo di soggiorno e purtroppo gli ultimi interventi legislativi non hanno aiutato a limare questo numero, ma lo accrescono dal momento che non è più prevista la protezione umanitaria.
Negli ultimi tempi, il ministro dell’interno, Luciana Lamorgese, ha ipotizzato misure legislative che possano aiutare l’emersione dall’irregolarità.

Secondo i dati Ocse, ogni anno sarebbero 40 milioni, il 70% dei quali donne e minori, le persone vittime di sfruttamento e tratta; un business da circa 150 miliardi di dollari annui. Paradossale, ma nel 2020 la schiavitù continua….
La schiavitù è stata abolita dal punto di vista giuridico, ma è ancora una triste realtà presente in tutti i Paesi. Ci sono persone costrette a lavorare in qualunque tipo di condizione, a vendere il proprio corpo, i propri organi, per poter sopravvivere e far sopravvivere i propri familiari. Le condizioni di schiavitù della prima industrializzazione ben descritte da Charles Dickens nel suo romanzo “David Copperfield” sembrano riemergere oggi, in un momento in cui si vive una nuova fase del capitalismo: basti pensare ai rider, agli operatori dei call center, ai braccianti.
I dati diffusi recentemente dall’Oxfam rilevano come negli ultimi anni le disuguaglianze siano cresciute a dismisura: è impressionante leggere che i 22 più ricchi nel mondo posseggono quanto 4,6 miliardi di persone.

L’8 febbraio si celebra la Giornata di preghiera contro la tratta. Cosa bisogna fare perché questo non sia un appuntamento isolato, ma contribuisca a creare una consapevolezza sul problema e a mettere fine al dramma delle donne abusate, vendute, sfruttate, emarginate, uccise?
C’è il rischio che queste Giornate restino solo un atto celebrativo, mentre occorrerebbe una vera rivoluzione anzitutto culturale: una metanoia. Forse servirebbe una sollevazione popolare simile a quella che sta suscitando Greta Thunberg per i cambiamenti climatici. Sarebbero necessari dei “Fridays for future” perché finalmente si possa vedere queste donne, a volte poco più che bambine, non come oggetti da usare, ma come persone da rispettare e da amare. Bisognerebbe davvero scendere in piazza per questo, mentre purtroppo non c’è la volontà di un vero cambiamento. Si tratta di una questione culturale: quando si è tentato di uscire dalla semplice declamazione per tradurla in atti politici, una parte della società è insorta, mostrando che manca la vera intenzione di superare questo aspetto, tanto che addirittura si è tornato a proporre le “case chiuse”. Continuiamo cioè a pensare alle donne come oggetti di cui dobbiamo servirci.

Dal 19 al 23 febbraio si ritroveranno a Bari i vescovi cattolici di 20 Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Quale importanza riveste questo appuntamento della Chiesa Italiana nel contesto odierno?
La Chiesa italiana e il cardinale Bassetti, che ha voluto questo incontro per la pace nel Mediterraneo, hanno già ottenuto il risultato di riportare l’attenzione del mondo sul luogo che ha dato origine a tante civiltà, un luogo di scambio e di incontro che oggi, come ricorda spesso Papa Francesco, è diventato un grande cimitero. Solo negli ultimi 5 anni sono annegate più di 19mila persone. Il Mediterraneo è un luogo cruciale e riportare qui il dialogo significa lavorare per la pace nel mondo.
L’appuntamento di febbraio vuole permettere ai vescovi dei diversi Paesi che si affacciano sul Mare Nostrum di maturare uno sguardo comune e di parlare con una voce sola. Mentre il Mediterraneo è diventato il luogo dove si scontrano gli interessi dei grandi imperi esistenti oggi, noi abbiamo la possibilità, come Chiesa cattolica, di parlare con una voce sola.
L’incontro si concluderà con un messaggio che il Papa, dopo aver ascoltato i vescovi, pronuncerà al termine della giornata finale. Così il Mediterraneo può diventare una grande finestra attraverso cui l’Africa, l’Asia e l’Europa possono parlarsi.