Tra l’incudine e il martello

Tra l’incudine e il martello

Il Mali alle prese con l’infiltrazione di terroristi fondamentalisti  e con i conflitti tra gruppi etnici locali.

di Clément Sangare, studente di Rondine

Dal terrorismo agli scontri etnici, il centro del Mali è lontano dal riconquistare la sua tranquillità. Dalla crisi del 2012, l’infiltrazione di terroristi fondamentalisti in alcune comunità del Mali settentrionale e centrale continua a indebolire il tessuto sociale innescando tensioni e conflitti tra i gruppi etnici di agricoltori e allevatori. Oggigiorno la situazione peggiora e fa molti morti, feriti, rifugiati nei paesi vicini o al di fuori del continente. L’esempio più recente e sanguinario sono gli scontri tra Pulani e Dogon nel Mali centrale a Mopti, più precisamente il 21 marzo 2018 nel distretto di Koro intorno a Dioungani, in cui sono morte almeno 80 persone. Poi nelle regioni di Ségou nella località di Diabali e Sikasso nella località di Yanfolila che sono in allerta permanente sulle possibilità di conflitti inter-comunitari. Dall’inizio degli scontri ai giorni nostri, i conflitti inter-comunitari avrebbero fatto di più di 100 persone di morti e rifugiati.
Riconosciuti per il loro alto senso “cousinage a plaisanterie” (ossia una sorta di alleanze interparentali interetniche che hanno da sempre garantito la convivenza pacifica tra le tribù), gli amici di ieri si trasformano lentamente nel nemico di oggi. Le profonde analisi di questi scontri interetnici mostrano che questi problemi sono a due livelli: il livello economico legato alla mancanza di sviluppo e l’inefficienza o assenza dello Stato in queste zone in conflitto. Le tensioni tra agricoltori, prevalentemente sedentari e pastorali, per lo più nomadi, sono ricorrenti al momento dello svernamento, spesso per questioni di terra, legate ai campi e alla transumanza. Ma dal 2012, la presenza di gruppi terroristici ha esacerbato diffidenza e stigmatizzazione tra le comunità: alcuni Dogon accusano la vicinanza Fulani o di appartenenza a gruppi terroristici, mentre alcuni la colpa Fulani Dogon aiutare l’esercito maliano per inseguirli indistintamente. Tutto ciò inquina il clima sociale tra gli allevatori e gli agricoltori che alla fine si uccidono a vicenda. Sicuramente in passato pastori e agricoltori hanno avuto tempi difficili, ma l’infiltrazione di stranieri, in particolare jihadisti nella comunità elevatori ha reso la situazione impossibile. E la maggior parte di loro ignora le regole d’oro della coesione sociale della “cousinage”. Occorre trovare una soluzione per questo problema così preoccupante soprattutto perché tra meno di due mesi i maliani saranno chiamati alle urne. Un progetto futuro sarà necessario e anche indispensabile in queste aree per la gestione dei conflitti intercomunitari e lo sviluppo agrosilvopastorale. Da un lato, se si potesse creare un progetto per la gestione dei conflitti inter-comunitari, ciò contribuirebbe a rinnovare il dialogo tra queste comunità, a realizzare campagne di sensibilizzazione, cercando al contempo cause profonde attraverso studi sul campo su problemi degenerativi dei conflitti tra le sue comunità. D’altra parte, il finanziamento di progetti agrosilvopastorali contribuirebbe a stabilizzare le sue aree in quanto la maggior parte delle sue comunità sono favorevoli al bestiame, all’agricoltura e alla pesca.